Deriva #15 Dell'interdipendenza di tutte le cose.

Da Bibolotty

È strano.
Da quando scrivo le #derive ho una quantità impressionante di visite, mail, richieste di amicizia su FB. Ma poi vi offendete se non chatto, se non discuto su concetti che stanno lì da milioni di anni e nessuno mai si è permesso di dire “io la penso diversamente” finché non è nato twitter e la sua filosofia d’accatto. Perché poi sarebbe tanto bello trovarci a quattr’occhi e senza ausilio di wikipedia per vedere chi è che scrive cazzate.
Bon, ricapitoliamo facendo esempi pratici.
Se vado a una festa, la solita, sempre quella al quinto pianto in via dei Condotti, e presento un’amica spiritosa, fissata con il fitness, un po’ superficiale e ridanciana –su twitter ne troviamo a pacchi- a un collega che ritengo alla sua altezza, farò un ottimo servizio alla comunità. È probabile che i due, in perfetta sintonia, passino l’intera serata a interagire felicemente mettendo in fila un luogo comune dietro l’altro. È probabile anche che si fidanzino.
Se la stessa amica la presento al mio direttore, notoriamente incline alle delle filosofie orientali, taciturno e snob, credo che il giorno dopo non solo mi toglierà il saluto, ma anche il delicato incarico che mi aveva affidato in azienda: perché le nostre azioni determinano sempre una reazione.
Evitiamo il compassionevole #FF da simpatia o da "acchiappo".

Se continuo, dopo che il padrone di casa ha chiesto gentilmente di non fumare, ad accendermi una sigaretta dietro l’altra, il tizio mi sbatterà fuori di casa e non m’inviterà più: e non perché lui non sia degno di me, ma perché io sono un cafone.
Non smadonnate per un’ora alle spalle di chi vi ha defollouato o non ci ha mai nemmeno pensato a seguirvi. Soprattutto se il tizio in questione ha molti più follower di voi e di un certo calibro. Soprattutto se sulla vostra “bio” vi fate fighi scrivendo: maniaco sessuale e border line, o anche mamma e troia, ma pure stronzo e antipatico.
Se durante una discussione pacifica da salotto, la cinquantenne garbata, liftata e vestita Chloé dice, parlando del governo, che non pagare le tasse è un principio sbagliato e io porto il discorso sul mio misero “io” da partita IVA urlando un: come si permette!, io le tasse le pago eccome!, è molto probabile che per risposta riceverò un paio di colpi di tosse e un silenzio imbarazzato.
Non siamo il centro del mondo.
Io, per lo meno, se devo rivolgermi a qualcuno lo “menziono”.

Se sempre alla festa, ospite appena arrivato, mi sposto di gruppo in gruppo e m’intrometto in ogni discussione senza nemmeno presentarmi credete sarò rinvitato o cancellato dall’agenda. E credete ci voglia un corso di bon ton per saper campare, o solo un pizzico di buona educazione.
Anche sulle mie #derive, c’è poco da parlare, sono riflessioni personali e generiche ognuno può aggiungere o togliere qualcosa: se vi sentite offesi ma avete riso o annuito durante la lettura di queste poche righe, sarebbe ora che rivedeste il vostro atteggiamento anziché prendervela con me e muovere la testa in un “no” ostinato da muli.
Se condividete, rituittatemi.
Se invece credete che siano del tutto inutili, ignoratele.

Su twitter, come nella vita reale, vale il vecchio e abusatissimo principio Buddhista dell’interdipendenza di tutte le cose e che dice che se una farfalla sbatte le ali a Tokyo pioverà a New York.
Siamo collegati l’uno all’altro. Che lo vogliate o no.
Se qualcuno che in passato ha dimostrato di apprezzare le mie #derive e oggi, dopo il mio follow back non solo non mi rituitta ma lo fa invece per centoquaranta caratteri vecchi e abusati, io lo defollouo.
Perché sono io che decido cosa voglio scorrere sulla mia TL.
Perché non mi va di stare alla stessa festa con persone che non mi piacciono: potrebbero infilare le mani nella mia borsa, attaccarmi un pippone che non finisce più sui propri guai, bestemmiare o mettermi le mani addosso. Allora, anziché andare in giro a dire a chiunque: che brutta gente c’è stasera, me ne vado, defollouo.
Su Tuitter abbiamo quattro modi per entrare in contatto con gli altri, e queste quattro azioni vanno usate tutte con parsimonia.
Interazioni solo se richieste. I commenti fateli pure, ma non pretendete risposta da tutti.
Preferiti: servono come post it. Non apprezzamenti. Sono “preferiti”.
DM: pericolosissimi.
Retweet: apprezzamento, stima, condivisione vera.
Ma il “retweet” che è l’anima di questo social network, non ci va giù. Almeno non più da quando c’è stata la famosa transumanza.
E i motivi sono diversi.
Invidia: Porca miseria quello scrive sempre tuit perfetti e ha un botto di follower.
Piccolezza: Fichissimo questo tuit domani lo riscrivo a modo mio –o peggio lo copio.
Vendetta: tizio non mi rituitta mai perché devo farlo io –e il fatto che i nostri 140 caratteri non siano così eccelsi non ci passa nemmeno per la testa- è un “favore” che nell’universo autoreferenziale del “do ut des” non ha ragione di esistere.
Allora sopperiamo con la “stellina” che significa uno “gné gné... sì... bravo, ma siccome sei stronzo non meriti di più”.
Se evitiamo di tuittare come tossici, poi, non è che il mondo si dimentica di noi. Tanto, la nostra impronta possiamo lasciarla esclusivamente grazie alle azioni perpetrate nella vita reale e non su twitter. L’illusione è un’acerrima nemica della nostra sazietà, non un’alleata.
La reciprocità non è il principio di questo media, collezionare follower è come dire di aver scopato dopo essermi masturbata davanti al Mac.
L’accumulo indiscriminato non è mai positivo.
C’è una particolare legge di compensazione che su twitter funziona alla grande: il defollow dell’imbecille verrà ripagato con almeno 30 buoni follower.
Inoltre, e questo per i tanti che fanno di se stessi l’ombelico del mondo, l’etica, per lo meno, è valore comuni, e l’individualismo è da sempre un difetto, perché è dal benessere della comunità che scaturisce la felicità individuale. Ora, non scomodiamo Aristotele, Kant e tutti gli altri.
Ogni tanto prendiamola così: non sempre è necessario un commento.


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