Desperate Guys

Da Mrtambourine

“Ricordati”, mi disse quel giorno, “al mondo esistono due tipi di donne: quelle che se la tirano e quelle che se la tirano troppo“.
Io ero ancora giovane, di quella gioventù che ti fa pensare che, tuttosommàto, ci sono ancora un casino di cose che non sono successe, e altrettante che possono ancora succedere.
Quella gioventù che ti fa pensare che alla fine anche Moriero è stato convocato per i Mondiali, e anzi ha fatto pure un gol in rovesciata in amichevole col Paraguay.

Lei era un pezzo degli Afterhours in mezzo al traffico delle settemmèzza.
Lei, rientrava nella categoria dì-èsse-èmme.
Già, perché a un certo punto della vita il bella, il busta, il fica non mi bastavano più, ci voleva qualcosa di più sinfonico, qualcosa che rendesse l’idea.
Così iniziai ad adottare, in rigoroso ordine crescente, il gnagna, il fregna e il dì-èsse-èmme.
Gnagna perché è un termine comodo, morbido, sobrio, asciutto, nel quale può tranquillamente rientrare il settantapercènto della popolazione femminile. Ché, sia chiaro, io so’ un tipo tèra-tèra, e per me il settantapercènto in questione vappiùcchebbène.
Fregna perché comunque, rega’, fregna. Aggiunge quel che di splatter al gnagna, gli aggiunge l’aspetto porco, l’aspetto sesso.

E poi, appunto, il dì-èsse-èmme.
Eh, perché esistono donne che non è giusto, mica le puoi forzare nelle categorie precedenti, donne che sono semplicemente di un altro livello, donne che sono Marco Travaglio in un mare di Ivan Zazzaroni.
Donne che ti fanno pensare che quella roba lì, è stata inventata solo per metterla addosso a loro.
E queste, sono le donne dì-èsse-èmme, donne Da Sentisse Male.
Scelsi questa classificazione, e mai feci niente di altrettanto giusto, vero, nella vita.
Perché io, quando mi trovavo di fronte a donne del genere, davvero mi sentivo male. Avevo le vertigini, mi veniva da vomitare, non riuscivo più a mettere due parole in fila, un attacco di panico incontrovertibile e costante.
E quando se ne andavano, ci mettevo un po’ a riprendermi.
Tipo ubriaco, che mi serviva un panino.

E lui, che le donne se la tirano o se la tirano troppo, mi guardava mentre lascivo le vomitavo addosso due o tre parole, parole che mi servivano solo da sponda, che mi servivano a tenere in piedi il discorso, e no, non te ne andare ora, parole che mi facevano pensare che esistesse davvero, un discorso, mentre invece io mi rimettevo completamente a lei, blateravo monosillabi sposati a punti interrogativi, e la facevo andare avanti, la facevo parlare, ché io, scusa eh, ma l’energia me l’hai sugata tutta solo esistendo.
Solo venendo al mondo.

Lei era un caleidoscopio di nazionalità, culture e poesie.
Aveva pescato nel mondo con quel braccio meccanico che trovi al Luna Park, quello che cali in mezzo ai peluche, e che non ci riesci mai, a prendere quello più bello, per la quattordicenne ragazzatùa che ti sta a fianco.
E alla fine è sempre oh, solo questo sono riuscito a prendere, un pupazzetto di gomma verde sbiadito, mi dispiace amore, e lei non fa niente, amore, ti voglio bene, e tu eh, volevo il più bello per te, e invece pensi ‘fanculo, ‘sta zoccola, cinque euro.

Lei, invece, con quel braccio meccanico aveva pescato le cose più belle, dal mondo.
Metà Brasiliana, metà Turca, univa il fascino del colpo di stato a quello del Carnevale di Rio.
E io che, oh, ma che cazzo je ricconto, io, a questa.
E a fine serata era vabbène, dài, ciaociao, alla prossima, senza neanche il guancia a guancia.
Me ne andavo con la faccia di chi ha appena inghiottito un cucchiaino di merda.

E lui mi guardava, e lo sapeva, lo sapeva da sempre.
Lo sapeva da sempre, che io, con una come quella là, avevo più o meno le stesse probabilità di successo che avrebbe Marco Cassetti a non far toccare palla a Cristiano Ronaldo.

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