di Assunta Viteritti.
Diretto da Tonu Kaye, con Adrien Brody, James Caan, Christina Hendricks e Lucy Liu
“No Child Left Behind”, nessun bambino (o bambina) resti indietro, era questo lo slogan della riforma conservatrice della scuola americana, voluta da Bush e poi proseguita anche da Clinton, rivolta alle scuole disagiate, di aree disagiate, agli studenti disagiati, di classe sociale disagiata, apparentemente demotivati per la scuola, con scarsi risultati, aggressivi e violenti (indipendentemente dal genere) ma in realtà fragili, docili, vulnerabili e desiderosi di essere ascoltati e accettati, solo lo fanno male, in un modo capovolto, che disorienta.Henry Barthes è un insegnate precario di letteratura in un liceo americano di terz’ordine che racconta, come in uno sfogo commosso e disperato, a qualcuno, a noi spettatori, ad ognuno, la sua esperienza di supplente. Henry si aggira in scuole diverse ma rimane sempre solo.Diciamolo subito, ci colpiscono due cose: la prima è che i genitori, le famiglie, sono assenti, semplicemente non ci sono, e quando sono presenti sono solo voci lamentose e critiche verso figlie e figli sfortunati ma in qualche modo speciali; la seconda cosa è che gli insegnanti sono vinti, sfiniti, hanno perso il loro obiettivo, sono diventati incapaci di ascoltare, di capire ed esercitare il loro ruolo verso giovani così fragili che non riescono più a raggiungere, sono distaccato da loro, come annuncia il titolo del film. Anche la dirigente scolastica, che si atteggia a manager disillusa e sfiancata, ha ormai come unica arma emotiva per restare a galla il cinismo e il sarcasmo: nessuno crede più in quello che fa ma bisogna farlo. Si capisce subito che la vita di Henry rispecchia in qualche modo quella dei suoi studenti. Viene anche lui da un mondo sofferente. La madre, che lo adorava, lo ha lasciato, si è tolta la vita quando lui era bambino, sopraffatta da un dolore insostenibile, la violenza su di lei di un padre che nel film vediamo demente e morente di cui Henry, con amorevole distaccato, si occupa. Henry è compassionevole, non odia suo nonno ma riesce a farlo solo perché si sente lontano da se stesso.
I suoi studenti, i colleghi, sono un mondo occasionale per lui che si muove tra una scuola e un’altra. Vive in una casa spoglia, è solo. Sente la violenza che alimenta il cuore di quei giovani e cerca delle strade per entrare in contatto con loro. Usa la strategia dello spiazzamento e riesce a toccare il loro animo con le loro stesse modalità. Loro aggrediscono e lui incassa e rilancia. La traiettoria del film è quella di un percorso di conoscenza, di accettazione, di trasformazione.
Una ragazzina si prostituisce e lui, di fatto, le salva la vita, la porta a casa sua, inizia un’amicizia che sarà per lui, e per lei, una possibilità di rinascita.
I suoi studenti delusi, arrabbiati, sprezzanti sono catturati, lo seguono, una ragazzina obesa, problematica, con talento per la fotografia rimane affascinata da questo insegnante speciale per una come lei che mai nessuno ha guardato come persone. Ma la sua creatività non riesce a sollevarla dal dolore e dalla confusione dei suoi sentimenti, lei non si accettarsi e non si sente accettata e allora Meredhit si toglie la vita, proprio l’ultimo giorno in quella scuola per Henry.
Quella seconda perdita, quella evidente sconfitta, come docente e anche come persona gli fa conoscere delle possibilità. La bambina che si prostituiva ora è salva e la loro amicizia sosterrà le loro esistenze.
Molti ragazzi e ragazze rimangono indietro, ma alcuni, e alcune, no.