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Detachment - il distacco, di Tony Kaye: il ritorno del regista di American History X
Creato il 18 luglio 2012 da Saramarmifero“Il grado di civiltà di un paese si misura osservando le condizioni delle sue carceri”. Verissimo. Ma anche infilarsi nelle aule di una qualsiasi scuola pubblica aiuterebbe non poco a farsi un'idea. E a giudicare dall'immagine di sfacelo che campeggia sulla locandina di Detachment – una classe deserta e devastata – gli Stati Uniti troppo civili pare non siano. Lo sa bene Henry Barthes, supplente di letteratura, che per qualche settimana si trova ad insegnare in uno dei tanti licei di periferia che addensano i confini delle metropoli americane. Il distacco del titolo rimanda all'indifferenza degli studenti, dei loro genitori, ma soprattutto all'indole del protagonista, prigioniero di un passato doloroso e per questo incapace di provare un benché minimo coinvolgimento emotivo nelle diverse relazioni che, suo malgrado, allaccia nel corso della storia. Henry, dalla cui confessione a tu per tu con la cinepresa scaturisce il racconto, si dichiara una non-persona e, a riprova del suo sentirsi “straniero” in ogni luogo, cita Camus: “non mi sono mai sentito allo stesso tempo cosí distaccato da me stesso e così presente nella realtà”. Tutto per lui ha una data di scadenza, affettiva prima ancora che professionale. L'incarico nell'istituto, certo, ma anche l'impegno con la baby prostituta Erica (la luminosa Sami Gayne), che cerca disperatamente di strappare ad un destino da reietta. Henry è un supplente sul lavoro e nella vita. Assai convincente nei contenuti, il film zoppica un po' sul piano estetico, strizzato da una trama di arabeschi formali che spesso appesantiscono la messa in scena: la pervasività della voce fuori campo – un espediente che personalmente detesto – o l'uso ridondante dei flash back in super 8. In generale, una regia asciutta e meno compiaciuta dei propri virtuosismi sarebbe stata più congeniale al soggetto, già di per sé estremamente denso. Resta il grande piacere di ritrovare finalmente sul grande schermo la robusta fibra morale di Tony Kaye, a distanza di 14 anni dalla travagliata gestazione della sua opera più famosa, American History X, che il regista britannico, dopo il montaggio poco rispettoso da parte dei produttori della New Line, volle ripudiare, arrivando a chiedere che il suo nome non venisse accreditato nei titoli di coda e appellandosi, senza tuttavia venire accontentato, ad un diritto in voga tra i cineasti fino agli anni '90 e oggi in disuso, che permetteva di firmare le pellicole con lo pseudonimo di Alan Smithee. Un ritorno cinematografico che, a dispetto del tempo trascorso e dei molteplici progetti messi in cantiere nel frattempo, ha un sapore di déjà vu. Ancora una volta giovani allo sbando, ancora una volta modelli educativi inadeguati, vittime loro stessi di un percorso formativo fallimentare. Allora c'era Edward Norton, ex nazista ed ex galeotto, alla ricerca della propria redenzione nella salvezza dal dogma fascista del fratello adolescente. Oggi, il precettore ha le fattezze di Adrien Brody e lo stesso disagio nel cuore. Nonostante uno scheletro narrativo ricorrente all'interno del genere “school movie” - l'insegnante dal metodo didattico anticonformista spedito a disinnescare una bomba sociale in quella che parrebbe la peggiore scuola del paese - rispetto ad altri titoli di successo (ad esempio il meraviglioso Entre les murs di Laurent Cantet), in Detachment il focus tematico viene sfalsato, lasciando in realtà poco spazio alla descrizione delle dinamiche di classe e degli allievi (fatta eccezione per Meredith, ragazza obesa dal talento artistico frustrato). Qui l'attenzione è rivolta essenzialmente al corpo insegnanti, alle loro debolezze e al loro senso di impotenza, allo stoicismo con il quale ogni giorno tentano di tamponare, con gli irrisori mezzi a loro disposizione, le ferite inferte a giovani adolescenti proprio da quelli che dovrebbero essere dei punti fermi cui aggrapparsi (la famiglia, la comunità di appartenenza) e che, invece, quotidianamente finiscono col disarcionarli dai valori più semplici. La lettura sociologica di Kaye non è ingenua, la sua denuncia affonda con lucida precisione nell'organismo incancrenito dell'America del nuovo millennio, senza cedere alla tentazione di glorificare i docenti, e anzi allargando la sentenza di colpevolezza alla società nella sua interezza. Detachment va contro la logica assistenziale e scarica-barile che anima le politiche statunitensi in materia d'istruzione, ma il discorso calzerebbe a pennello anche alla realtà nostrana: si lasciano le responsabilità sulle spalle dei professori e si inadempie così al dovere di elaborare un progetto di ampio respiro. Eppure, truppe di maestri pronti ad immolarsi per salvare il salvabile, non bastano ad impedire che la desolazione esistenziale e il degrado urbano inghiottano le menti, pur brillanti, degli studenti. Serve l'amore di una famiglia, la comprensione dei compagni e il supporto delle istituzioni. In una parola, una società di individui non distaccati, che non lasci i pochi Henry Barthes a lottare soli contro i mulini a vento.
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