Non sia detto mai che non amo la letteratura dialettale, la memorialistica, gli sperimentalismi. No, ho una formazione linguistica e come molti sanno, amo leggere non solo in lingua straniera, ma anche in dialetto. Il dialetto, che linguisticamente non ha alcuna differenza con la lingua, ma è solo una lingua che — politicamente, numericamente — non si è affermata, mi è molto caro, sono certa che va preservato anche attraverso la nuova letteratura, sempre in maniera spontanea e vivace, senza forzature.
In questo, Sergio Peter è riuscito nell’intento. Il suo Dettato, che dalla casa editrice Tunué viene presentato come un “romanzo”, ha sicuramente il pregio di valorizzare la lingua locale, quella delle valli attorno al lago di Como, dandogli nuova vita attraverso le sperimentazioni. Verso la fine del volume ci sono alcune lettere, riportate o riprodotte attraverso mimesi linguistica non si sa, che fanno piombare il lettore non solo in un’altra cultura, ma anche in un’altra epoca. Così anche la sperimentazione poetica, sempre nelle ultime pagine, è da vedersi come una sorta di riappropriazione della cantilena della lingua locale, cantilena da cui, forse, scaturisce la poesia (nell’antichità non era altro che una conseguenza delle storie raccontate oralmente, si vedano i poemi epici).
Tuttavia, questo libro è molto difficile. Il ruolo degli autori è quello di sconfinare, dice Peter. Sì, sconfinare serve a conoscere ciò che è altro da sé, serve ad allargare i propri orizzonti. Ma questo sconfinamento pecca, in maniera alquanto contraddittoria, di autoreferenzialità: è davvero complicato seguire il filo del discorso, i luoghi vengono presentati in maniera dettagliata ma sfugge il loro nesso nella storia. Sì, a un certo punto l’autore racconta di un padre scomparso prematuramente, e capiamo (finalmente) qual è il fil rouge che unisce tutto il libro.
Ma se gli esercizi di stile sono cosa buona e giusta, a mio parere (umile parere) essi dovrebbero essere funzionali a una storia per poter rendere quella narrazione davvero intellegibile e se si vuole che arrivi a tutti. Invece questa narrazione è troppo debole, rimane sospesa, non arriva mai a un punto e io, lettore, a pagina 15 mi innervosisco. Probabilmente è un mio limite, probabilmente non sono addestrata a leggere per il piacere di leggere, specie in tempi di stimoli continui che riceviamo oggi, ma forse nemmeno dieci anni fa avrei saputo apprezzarlo.
Eppure, la scrittura di Sergio Peter merita. Forse un po’ di editing in più, forse dirigerla verso un sentiero meno difficoltoso avrebbe fatto bene al libro. Che, si badi bene, non è affatto un romanzo. Pur apprezzabile come exercice de style, questa raccolta di riflessioni che ruotano attorno all’infanzia e alla morte del padre di Peter, a un immaginario culturale e collettivo di una valle chiusa, un’analisi antropologica interessante e ben articolata, non è affatto un romanzo. Perciò, se vi aspettate questo non leggetelo. Ma se volete conoscere una voce sicuramente nuova e interessante del panorama attuale, beh, allora Dettato è il libro che fa per voi.
Sergio Peter, Dettato
Libro della collana diretta da Vanni Santoni
Tunué, 2014
pp. 112, € 9,90
Nota sull’autore
Sergio Peter è nato a Como nel 1986. Ha studiato filosofia all’Università Cattolica, laureandosi con una tesi di Estetica. Ha pubblicato racconti in riviste cartacee e online. Vive a Milano. Questo è il suo primo romanzo.
Per approfondire
Consigli di lettura: Sergio Peter presenta “Dettato” (Tunué)
Dettato di Sergio Peter
Il progetto editoriale descritto in un’intervista per Via dei Serpenti a Vanni Santoni