Non fu un buon sovrano, Umberto I di Savoia. Almeno, non lo fu più, da un certo momento in poi. Lo comprese (o forse no?) quando un giovane anarchico lucano, Giovanni Passannante, vibrò contro di lui una coltellata, il 17 novembre 1878. Qualcosa era cambiato. “Si è rotto l’incantesimo di Casa Savoia!” ebbe infatti ad esclamare la sua consorte, la Regina Margherita. Di educazione strettamente militare, conservatore e filo-prussiano, lo si poteva identificare come una scheggia residuale di quel Congresso di Vienna tentativo posticcio e traballante di arrestare il percorso della Storia. Sordo ai malesseri di un popolo che reclamava più diritti, più rispetto e più attenzione ( e più pane) cercò, anch’egli, di opporsi alla traiettoria inevitabile del tempo, mettendo davanti al progresso civile e sociale ostacoli reazionari come Antonio di Rudinì e Luigi Pelloux. Oppure la palla del cannone. Se fosse vissuto ancora, molto verosimilmente l’Italia sarebbe rimasta ossificata al XIX secolo, non avrebbe ultimato il suo processo unitario con la Grande Guerra (Umberto era un sostenitore della Triplice Alleanza) e, forse, a Giolitti non sarebbe stata data l’opportunità di varare le straordinarie riforme sociali che gettarono la base di quel progredito impianto welfare che tanto fa onore al nostro Paese. Ci pensò il destino a “facilitare” il futuro al popolo italiano, per mezzo di Gaetano Bresci, un tessitore pratese emigrato a Paterson, negli Usa.
Deus ex machina