Deux jours, une nuit

Creato il 02 luglio 2014 da Ussy77 @xunpugnodifilm

Il viaggio dantesco di Sandra

Presentato a Cannes 66, Deux Jours, une nuit mette in scena, con intenso livore, il dramma di una donna che cerca di riprendersi il suo lavoro. Privo di musica e gonfio di sequenze vigorose, l’ultimo film dei fratelli Dardenne è brillantemente altalenante nel suo mostrarsi speranzoso e disperato, per poi aprire (ancora) all’ottimismo.

Sandra ha un marito, due figli e aveva un lavoro. Perché a causa di una depressione (malattia che l’ha tenuta lontana da lavoro), Sandra viene considerata l’anello debole della fabbrica e viene licenziata a causa di una votazione segreta, che ha visto i suoi colleghi scegliere tra lei e un bonus di 1000 euro. Grazie alla sua insistenza Sandra riesce a ottenere una ripetizione della votazione, ma dovrà peregrinare presso le abitazioni dei suoi colleghi per convincere coloro che hanno votato contro di lei. E il tempo è limitato: due giorni e una notte.

Che i Fratelli Dardenne stiano perseguendo l’arte dell’ottimismo piuttosto che del pessimismo è risaputo e Deux Jours, une nuit ne è la seconda prova dopo Il ragazzo con la bicicletta. Infatti i registi belgi tengono lo spettatore con il fiato sospeso, sul filo di un rasoio morale, sul ciglio di un’opera di convincimento che si sviluppa in un weekend e che esibisce una Marion Cotillard emaciata ma in splendida forma dal punto di vista recitativo. È attraverso il suo girovagare e il suo sguardo (spesso) contrito e disfattista e a volte aperto in un pallido sorriso che lo spettatore si immedesima e coglie la disperazione e la depressione. Ed è sicuramente l’empatia la cifra stilistica dei Dardenne, che esibiscono una carrellata di stereotipie umane (dal pentito all’arrogante, dal dispiaciuto all’indifferente) che contrappuntano il dantesco e lento vagabondare di Sandra nelle desolanti periferie francesi.

Deux Jours, une nuit è un film da assaporare e che miscela ambiguità e decisioni difficili, comprensione e vana felicità. E per un attimo i Dardenne spiazzano perché non indugiano su una domanda finale (che avrebbe fatto assumere alla conclusione un aspetto sicuramente più intrigante), ma preferiscono chiudere il cerchio, portare su un palmo di mano la loro positiva eroina e scrivere a chiare lettere il loro trattato sul diritto al lavoro.

Oscillando tra moralità e solidarietà, Deux Jours, une nuit dimostra come i registi sappiano dove posizionare la macchina da presa (tallonando la protagonista o osservandola in modo distaccato) e di come sono in grado di rendere intenso qualsiasi incontro senza far passare da vittima Sandra (compito arduo, il rischio patetismo è dietro l’angolo) e da mostri insensibili i colleghi. Perché la Via Crucis di Sandra è immersa in un contesto nel quale la crisi economica non aiuta a scegliere e rende il bonus assolutamente necessario per i suoi colleghi.

Insomma Deux Jours, une nuit è personale, parla allo spettatore in modo schietto ed evita di scivolare nella monotonia, caratteristica che poteva avviluppare l’intera pellicola. E allo spettatore viene destinata l’ardua decisione: parteggiare per Sandra o per i colleghi. La risposta pare scontata. Eppure…

Voto: ****


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