Dev'essere la maledizione del rincasare dove non ho casa. Dev'essere per questo che ogni volta mi sento sprofondare e ogni volta conto sulla punta delle dita le persone da chiamare e ogni volta, quando mi accorgo di essere sola, penso alla mia mano sinistra mozzata sul pavimento del salotto.
Dev'essere la maledizione del rincasare dove non ho casa, perché altrove posso fluttuare e ho persone da chiamare e non sono sola.
Dev'essere la maledizione del rincasare dove non ho casa. Le persone che ho perso perché non mi so comportare; le persone che desiderio: quelle che non si sanno comportare. Le scelgo una ad una tra mari di prevedibili e di concilianti, onde evitare la noia. Le chiamate perse: quelle sporadiche, quelle inedite, quelle rituali. Sono passati mesi, e nel silenzio l'odio si fa comprensibile.
Non avrei dovuto urlare. Dovrei sapermi comportare. Tenere le mani a posto.
Dev'essere la maledizione del rincasare dove non ho casa.
Dove mettere le mani? In tasca? Su di te che mi vorresti più floreale? Su di te che mi hai abbandonata tra radici e foglie decomposte? Su di te che sprofondi nella noia quando apro bocca per parlare? Su di te che sei stato tra i morti e ora dici di essere tornato?
Dove mettere le mani? Nei musei non si possono toccare le opere esposte, così mi limito a guardarle cercando di non mettermi a piangere. Devo tenere le mani in tasca. Devo essere forte. Devo sapermi comportare. Essere presentabile. Contenuta. Devo assorbire la bellezza che ho di fronte senza crollare. Devo prendervi casa, anche se il mio aereo parte tra sette ore. Chiudo gli occhi e cammino nell'oscurità, su quella che un tempo era una pista d'atterraggio. Mi sento al sicuro. Il vento contro la braccia nude: sono a casa. Le mani aperte, sospese, immerse in una lunghissima carezza: casa. Posso lasciarmi galleggiare. Le cose importanti le posso dire senza fare premesse. Non sono sola.