Deviare lo sguardo

Da Lucas

Proprio così: ho fatto finta di non vederti, piegando leggermente il viso in modo che dessi l'impressione di non incrociare il tuo sguardo che, da lì a poco, mi avrebbe visto, e forse risposto al mio, al nostro naturale sorriso; ma non c'è più niente da sorridere, e mi sono rotto i coglioni di dover fingere che sono pacificato, visto che non lo sono, in parte anche per colpa tua, ma che dico colpa, forse è meglio dire “causa efficiente”, visto che passare da una fellatio settimanale al niente, quando hai più o meno vent'anni, vuol dire passare da una condizione di grazia a una di struggimento per il benessere perduto.Quindi fammi il piacere, facciamo finta di non conoscerci più, azzeriamoci, ignoriamoci del tutto quelle rare volte che il caso ci porta sulla stessa strada. Tu continua pure la messinscena di colei che in fondo non ha fatto nulla di male - e infatti non facesti niente di male, salvo farmi male, ma erano problemi miei, in fondo, dovevo maturare, dovevo prendere una fottuta decisione su cosa avrei fatto da grande. Beh, te lo dico: nonostante gli anni, grande come lo intendevi tu non lo sono diventato, sono lo stesso assetato di sesso di sempre, senti quante esse sibilanti tutte di fila, lo stesso che passava un'ora intera con la testa in mezzo alle tue gambe che stringevi tanto forte da costringermi a prolungate apnee che nemmeno Maiorca, e poi tornavo su, e respiravo, con la bocca tutta bagnata del tuo mare. Erano, i miei, tentativi di ritornare al punto dal quale ero partito, il vero paradiso placentare, il caldo e l'avvolgimento. Di tutto questo, intendi, io ti ringrazio ancora perché, come capirai, fu per me vera esperienza trasformata in vita moltiplicata che mi è restata scolpita addosso all'essere che nemmeno Alberto Giacometti.Tutti coloro che nella vita non conoscono un perdurante stato d'inebetita felicità, si trovano a nascere più e più volte, non solo la prima, quando lo sgravamento tocca solo alla madre e poi si esce e si piange per dover respirare l'aria fredda e per essere accecati dalle luci intorno - tutto vissuto senza un barlume di coscienza in diretta. E in tali periodiche rinascite della vita, la fatica è di espellersi da soli, senza avere vicino un'ostetrica o una  mano amica che prenda il forcipe e ci tiri fuori dallo stato d'infelicità presente.E quando tu prendesti il treno e dicesti che avevi un altro, perché io non ero un altro e non credevi più in quello che poco prima avevamo persino chiamato amore, tu rinascesti in te stessa consapevole della tua decisione e io rimasi a mezzo, tra il dentro te che non poteva essere più e il fuori di te che - in un primo momento - facevo una terribile fatica ad accettare. «Cosa faccio qui in mezzo a questa camera d'albergo a piangere e a masturbarmi sotto la doccia, solo, ricordando la nostra prima doccia insieme in un albergo di Venezia, di un inverno imprecisato?» - dicevo, e mi ricordo che nessuna cosa poteva consolarmi. È passato tanto tempo, tanti anni quanti noi ne avevamo allora. A te bastò un niente per dire la parola fine. A me ci sono volute diverse stagioni, vari libri, molte seghe, baci sparsi, sogni, versi che ancora oggi mi leggo volentieri per dirmi che non sono male e, infine, perdite di occasioni, di fedi, nuove consapevolezze, aperture mentali, e stop.Basta così, dunque. Volevo solo dirti che, per la prima volta, ho girato lo sguardo per evitare di incrociare il tuo. Vorrà dire qualcosa questo? Sì, senza dubbio. Vuol dire che per la prima volta, dopo averti rivisto, non ho desiderato rivedere le mie mani sul tuo culo. Ciao.

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