In un periodo storico come quello che stiamo vivendo, puntare l'occhio sulla questione degli sbarchi clandestini, sulle fughe verso mete d'accoglienza e sulla lotta a tutti i costi, non per il sangue, ma per la felicità personale è un riflesso incondizionato al quale non possiamo (e non dobbiamo) sottrarci. Saperne di più, conoscere i motivi, le vite, di quelle persone che affrontano la morte pur di andare incontro alla vita - una vita di cui hanno il diritto, ma che, causa guerre, spesso non riescono ad esercitare nel loro luogo di nascita - è uno sforzo che merita di essere compiuto, se non altro almeno per entrare in contatto con certe realtà che in una quotidianità in genere costante, come quella che ci riguarda, viene a mancare o, semplicemente, è lasciata alle spalle, ignorata.
Di tale condizione "Dheepan: Una Nuova Vita" offre una panoramica stretta quanto basta: con cadaveri ammassati e bruciati fino alle ossa, accerchiati da un circolo di persone distrutte ed abbattute, che guardano il tremendo spettacolo come fossero dei disperati spettatori consci di poter essere loro i prossimi. Questo basta per farci comprendere, immediatamente dopo, i motivi che spingono i tre protagonisti (un ex soldato, una donna e una bambina), sconosciuti tra loro, a fingersi una famiglia e a legare con forza i loro destini, voltando le spalle allo Sri Lanka e alla sua guerra civile, per fuggire illegalmente in Francia, alla ricerca di un nuovo inizio. Un pretesto, questo, che sebbene sembrerebbe cucito su misura per andare ad affrontare il tema dell'integrazione, messo in mano a Jacques Audiard, viene elaborato con una intenzione totalmente diversa, trasformandosi in altro.
Nel suo racconto, ovviamente, l'impatto relativo ad una nuova cultura, a un nuovo paese e a una nuova lingua esiste, ma è gestito come uno scoglio previsto in anticipo e da scalare un poco alla volta. Stesso discorso vale per la famiglia falsa, assemblata: un segreto che inevitabilmente ha un suo seguito, un riverbero a lungo termine, ma calcolato dal regista come non predominante all'interno di una pellicola che, in maniera assai spiazzante, va ad assumere una piega discutibile, soprattutto perché fine a sé stessa.
Si sofferma sul luogo di destinazione allora Audiard, su quella periferia francese, anarchica, dove la delinquenza regna e prospera, minacciando la tranquillità di chi ci abita e di chi, a maggior ragione, ci è finito a sua insaputa, convinto di poter trovare la pace. Esce da un discorso potenzialmente ampio, per entrare in un secondo strettissimo, non esportabile su larga scala, allentando a dismisura la zavorra di cui poteva farsi carico e cospargendosi di elementi a buon mercato, già noti e, vuoi o non vuoi, intrisi di una retorica non fastidiosa, eppure per nulla richiesta. Perde l'occasione di esaminare un privato sconosciuto e tortuoso, il regista, di espandere la consistenza dei suoi personaggi e di mettere sé stesso, quindi nelle condizioni migliori per comporre quel cinema fatto di passione e di consistenza che in passato aveva dimostrato di saper fare e di manovrare con scioltezza.
L'affetto smisurato per le anime, perennemente perseguitate, che è solito portare sullo schermo, nel caso specifico, ha penalizzato molto Audiard, contenendolo e impedendogli di sfondare oltre gli schemi basici a disposizione. In "Dheepan: Una Nuova Vita" a contare è unicamente il raggiungimento della felicità, una felicità che per quanto vissuto e quanto sofferto da chi la ricerca, nonostante si lasci aspettare e desiderare un po' troppo, è obbligata, infine, a rispondere alla chiamata. Più che altro per una questione di giustizia e di lieto fine.
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