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Di autori, relatori e di presentazioni di libri non proprio ben riuscite
Creato il 11 dicembre 2014 da LalettricerampanteEppure a me andare alle presentazioni dei libri piace molto. Mi piace vedere dal vivo gli autori, mi piace sentirli raccontare le curiosità relative al libro e rispondere alla domande che vengono loro rivolte dal relatore o dal pubblico, e mi piace anche il momento degli autografi, sebbene la mia timidezza mi porti ad arrivare davanti all’autore o autrice di turno con la faccia tutta rossa, la sudorazione a mille e nulla di interessante da dire. Ci provo eh, e il più delle volte mi ritrovo coinvolta in bizzarri siparietti, a volte divertenti (certo non per merito della mia bravura), a volte imbarazzanti.
Alle presentazioni quindi, se posso fisicamente e logisticamente, ci vado sempre volentieri. Il problema è che mi è capitato spesso di uscirne delusa. E il più delle volte è colpa del relatore. Perché non tutti sono capaci di parlare in pubblico, di interagire con una persona di fronte ad altre persone, di tenere desta l’attenzione e di esaltare al punto giusto lo scrittore o la scrittrice che sono chiamati a presentare. Così come non è detto che uno scrittore sia necessariamente anche un buon oratore, anche chi lavora in altri ambiti della cultura, dal giornalista al presidente di uno dei più importanti circoli di lettori di una grande città, non è detto che davanti al pubblico riesca a dare il meglio di sé. Anzi.
Sono diverse le situazioni che si possono creare: mi è capitato di vedere relatrici flirtare con gli autori che stavano presentando; relatori che parlano per più di dieci minuti prima di dare finalmente la parola all’autore, vero oggetto dell’interesse del pubblico (e in un incontro di meno di un’ora, questo tempo è, onestamente, abbastanza sprecato); relatori che non hanno letto il libro che stanno presentando e inventano di sana pianta, arrabbiandosi poi se vengono corretti (“l’ispettore Guerrieri”), relatori che fanno domande che capiscono solo loro o che non se ne sono preparate abbastanza, o che le fanno senza poi ascoltare la risposta.Tutte queste situazioni, per quanto mi riguarda, hanno una certa ripercussione sull’esito finale della presentazione, provocando un senso di insoddisfazione nel pubblico, al punto da spingerlo, nei casi più estremi, a non acquistare o leggere più nulla dell’autore in questione, o comunque a sviluppare nei suoi confronti una certa antipatia.
Sicuramente non è colpa dell’autore o dell’autrice, se chi gli è stato messo accanto, in quel momento o sempre, non è in grado di gestire la situazione. Certo, dovrebbe stare a lui risolvere il problema, emergere e far vedere comunque la sua bravura anche nei momenti di, chiamiamola, difficoltà. Ma in tutte le presentazioni a cui ho assistito non mi è mai capitato di sentire un autore dire al suo presentatore “ehy, ma che cavolo stai dicendo?”. Un po’ perché non c’è la confidenza, un po’ perché non starebbe poi così bene, sebbene spesso siano visibilmente imbarazzati.
Le presentazioni più belle, secondo me, sono quelle in cui tra autore/autrice e relatore/relatrice si crea un certo feeling. Un feeling dettato magari da un’amicizia precedente che si riflette anche nella chiacchierata pubblica, o da quella naturale predisposizione che certe persone sviluppano nei confronti di alcune e non di altre, o ancora da una vicinanza letteraria (la presentazione di John Niven fatta da Marco Rossari, suo traduttore, è stata una delle presentazioni più belle in assoluto a cui abbia assistito) Sono le presentazioni da cui imparo di più, da cui esco più soddisfatta e che, se vediamo il lato commerciale della cosa, mi spingono più facilmente verso l’acquisto del libro presentato, se già non l’ho letto, o di altri che vengono citati sul momento.
La cosa buffa è che l’impressione su uno stesso autore può cambiare in base a chi lo presenta. Mi vengono in mente le tre presentazioni di Marco Malvaldi a cui ho assistito (sì, lo so, è quasi stalking). La prima a Orbassano, due anni fa, durante la festa del libro. L’incontro era fissato alle sei e mezza di una domenica pomeriggio, subito dopo la premiazione dei cosplay (massimo rispetto per i cosplay eh, però diciamo che il momento per l’autore non era esattamente propizio). Ed è stato un incontro piatto, in cui era evidente che chi presentava non avesse letto il libro in questione. Malvaldi, per quanto bravo, non ha potuto fare molto al momento della presentazione, però si è poi ripreso dopo, quando il relatore se n’è andato e le dieci persone presenti all’incontro si sono avvicinate per gli autografi. Ha iniziato a raccontare aneddoti della sua vita, e nello specifico di suo nonno, che mi hanno fatto tornare il buonumore dopo una presentazione non del tutto esaltante. Il secondo incontro, invece, l’anno scorso a Chivasso durante la rassegna I luoghi delle parole, è stato meraviglioso. Malvaldi conosceva bene i suoi relatori, i librai della libreria Therese di Torino, e tutti insieme sono riusciti a trasformare la presentazione di un libro in qualcosa di più. Mi è piaciuta talmente tanto che sono tornata anche quest’anno e di nuovo mi sono divertita tantissimo.
Presentare un libro non deve essere facile. Non è facile per l’autore che, come dicevamo prima, non sempre si trova a suo agio davanti a un branco di sconosciuti che lo ascoltano anziché leggerlo, e che spesso si ritrova a rispondere a domande o troppo banali o troppo difficili, senza sapere quale può essere la reazione di chi ha di fronte. E non lo è nemmeno per i presentatori, sicuramente, che spesso si ritrovano spinti all’ultimo su un palco a presentare una persona che non hanno mai incontrato prima (sulle pagine forse sì, ma non è detto nemmeno quello). Però, almeno per quanto riguarda la mia esperienza non poi così vasta di presentazioni, il problema principale con i relatori è stato di troppa spavalderia, che li ha portati a mettere in ombra l’autore e il libro che stavano presentando, concentrandosi più sul far vedere quanto loro ne sapevano che non su i veri protagonisti della serata. Ed è davvero un peccato.
Concludo con quelle che forse avrebbe dovuto essere una premessa, ma che vedo bene anche alla fine. Mi è capitato solo due volte di vestire i panni di relatrice e, se ci penso, ancora sono stupita di esserci riuscita. La prima è stata al Salone del Libro (così, giusto per iniziare in modo tranquillo) e devo ammettere che se non ci fosse stata un’altra relatrice accanto a me sarebbe stato un vero disastro. La seconda è andata un pochino meglio, ma forse non di molto. E questo dimostra, in piccolo, quanto ho cercato di dire nel post: ovvero che puoi essere bravo a scrivere, puoi avere una cultura immensa, puoi amare i libri come nessun altro, ma poi, quando Sali su un palco e hai accanto a te una persona che aspetta che tu la aiuti nel presentare il suo lavoro, ci va anche altro, una faccia tosta, una spigliatezza, una bravura che, ovviamente, non tutti possiamo avere.
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