Magazine Italiani nel Mondo

Di bacchette e Purezza della razza

Creato il 26 maggio 2011 da Albino

Non mi stanchero’ mai di dire quanto mi stia sulle palle l’atteggiamento dei giapponesi quando si trovano a parlare con uno straniero che pronuncia anche una sola, singola, stronza parola nella loro lingua. Questo il discorso tipico – ma che dico tipico, automatico – tra un giapponese J e uno straniero S.

J: (frase qualsiasi detta in inglese stentato o in giapponese).
S: (parola qualsiasi detta in giapponese. Ne basta una sola, tipo arigatou o sumimasen, o anche un semplicissimo konnichiwa)

J: 日本語上手ですねー! (trad: ma che bravo che sei in giapponeseeee!)

Quando succede (cioe’ sempre), non riesco a non guardare il mio interlocutore con uno sguardo che tradisce il mio pensiero. Penso: ma sei deficiente? Ho detto una parola, una. Potrei sapere solo quella: tu che ne sai? A cosa diavolo serve che tu mi dica che sono bravo, per poi ritornare a parlarmi nel tuo inutilissimo inglese katakanizzato fatto di purisu (please), wissu (with) e sankyu (thank you)? O magari in giapponese ultra-lento e gesticolato, come se fossi un ritardato? Se pensi che io sia cosi’ bravo come dici, allora perche’ non parli la tua lingua?

La risposta a questo quesito all’apparenza retorico e’: no, non sei deficiente. Sei razzista, e’ diverso. Di quel razzismo buonista, tipicamente giapponese, che non e’ fatto di idee razziste. Non il razzismo ciarlato dei Borghezio. No: un razzismo inconscio, sottinteso, ma per questo piu’ profondo, piu’ radicato, inestirpabile. Un razzismo secondo il quale siccome io ho gli occhi e la pelle diversi dai tuoi, allora io sono un ospite, non appartengo e non potro’ mai appartenere alla tua cultura o al tuo paese. E quello stupore, quel "sei bravo", non significa che sei felice perche’ parlo la tua lingua. Suona piu’ come un "che strano, parli una lingua che non ti appartiene", perche’ inconsciamente tu mi consideri sempre un turista di passaggio, uno che viene da fuori. E non importa se io sia qui da un mese, da dieci anni, o da quando sono nato.

E’ lo stesso razzismo inconscio che ti porta a offendere la mia intelligenza con le domande che vengono subito dopo, e che di solito suonano cosi’: Sai usare le bacchettine? Hai mai mangiato cibo giapponese?

No, guarda: vivo in Giappone da anni ma non ho mai mangiato il cibo locale, e neppure alcun cibo asiatico, per cui non so usare le bacchette. Mangio solo da Salvatore Cuomo o al limite da Saizeriya.

E la cosa bella e’ che non lo dici solo a me che sono di razza diversa dalla tua. Lo vedo quando esco con la cinese, una che puo’ passare tranquillamente per giapponese, soprattutto perche’ parla la lingua in maniera perfetta. Ma dopo due, tre, quattro frasi lo vedo che la guardi strano, intuisci, capisci. E allora le chiedi: “non sei giapponese, vero?” e lei: “no, sono cinese”.

Ciao.
Perso lo status, da normale essere umano a gaijin. E via: il discorso di cui si stava parlando viene a cadere in quell’istante. Perche’, di nuovo, ecco che parte il solito copione.

“Ah. Che brava che sei in giapponese. Hai mai mangiato cibo giapponese?”



Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog