Illustrazione di A Richard Allen
Inizio proprio da quest’ultimo. Come ogni anno, in occasione della Fiera del Libro di Fraconforte (che, non so perché, io mi immagino come un posto fichissimo in cui volano libri durante le aste per i diritti), sono stati divulgati i dati sulla situazione delle vendite dei libri in Italia. Dati, ovviamente, terribili, secondo cui, nel 2014, più di un italiano su due non ha acquistato nemmeno un libro (trovate tutti i dati qui). Da lì ovviamente è partita la solita tiritera che “gli italiani sono un popolo di ignoranti”, “gli italiani non leggono”, “gli italiani preferiscono andare allo stadio/rincoglionirsi con la tv/ andare a catturar farfalle invece di leggere”. Se da un lato almeno in parte mi trovo d’accordo, dall'altro però non credo che questi dati siano così tanto significativi per quanto riguarda la quantità di lettori: c’è chi i libri li prende in biblioteca (a cui stanno tagliando sempre di più i fondi), chi se li fa prestare, chi se li ritrova in casa ereditati da biblioteche passate, chi li pirata (ai tempi degli ebook si può fare anche questo), chi li trova abbandonati su una panchina, etc etc… Dire a prescindere da tutte queste considerazioni, che gli italiani sono tutti un branco di caproni perché si vendono meno libri mi sembra un po’ un’esagerazione.La seconda storia mi è successa qualche giorno fa, sulla pagina Facebook di questo blog, quando un lettore/scrittore ha commentato dicendo che noi “lettori non professionisti leggete solo i libri di moda, non considerate i piccoli editori e gli scrittori emergenti”. Ammetto che non mi sia ben chiaro cosa sia un lettore non professionista, comunque, dopo la prima mezz’ora d’imprecazioni da “io leggo un po’ quel cavolo che mi pare”, ho riflettuto un po’ meglio e mi sono resa conto che, effettivamente, la scelta o meno di leggere un libro, per molti, dipende principalmente da quanto di quel libro si è parlato, da che casa editrice è stato pubblicato, da quanto è passato in tv o si è visto in lettura sui mezzi pubblici. Le mode, così come esistono nella tecnologia o nei vestiti, esistono sicuramente anche nel mondo dei libri. Non serve che dica che spesso non coincidono con la qualità letteraria del libro. Però, d’altro canto, non mi sento nemmeno di criticare chi legge solo questi libri. Almeno legge qualcosa. Certo, questo per le case editrici più piccoline e, spesso, più meritevoli è sicuramente un grosso problema, perché non sempre la qualità riesce a imporsi sul mercato a discapito della quantità.
La terza e ultima storia mi è capitata invece quest’estate, nella tappa fiorentina delle ferie. Dopo essere stati alla Feltrinelli RED e aver lì acquistato un libro, passeggiando ci siamo ritrovati di fronte a una piccola libreria indipendente. Mentre stavamo per entrare, abbiamo notato che sia sulla porta sia sulle vetrine c’era una sorta di lettera del libraio di cui non mi ricordo le parole esatte, ma il cui succo era: “noi non siamo la Feltrinelli e facciamo fatica a sopravvivere perché la Feltrinelli ha troppo potere, non entrate chiedendoci lo sconto perché non possiamo permetterci di farlo e se ci provate comunque non arrabbiatevi di fronte al mio no dicendo “Alla Feltrinelli me lo fanno”. Voi continuate a comprare anche là, poi non lamentatevi se le piccole librerie chiudono e vi ritroverete con un monopolio”. Ora, so che a Firenze la Feltrinelli ha fatto chiudere, più o meno indirettamente, diverse librerie indipendenti con la sua politica espansionistica, e quindi posso in parte capire la rabbia e la foga di questo libraio in un periodo così difficile. Però, ecco, alla fine non sono entrata. Perché avevo in mano un sacchettino Feltrinelli e mi sono sentita prima un po’ in colpa e poi un pochino offesa, come lettrice che compra indistintamente online e nelle libreria di catena, sulle bancarelle dell’usato e nelle librerie indipendenti.
La cosa che accomuna queste tre storie è la responsabilità che viene attribuita ai lettori. Nel prima caso, del calo delle vendite, è il lettore che non compra più e manda l’editoria in crisi. Nel secondo caso, è il potenziale lettore che non legge sempre e solo gli stessi libri e non fa uno sforzo per conoscere le piccole case editrici, che legge solo quello che gli viene messo davanti e non si impegna minimamente a cercare altro. Nel terzo, è il lettore che compra alla Feltrinelli (o su Amazon, ovviamente) invece che in una libreria indipendente e fa fallire tutte le librerie indipendenti.Ma siamo davvero sicuri che ai lettori spettino davvero tutte le colpe? Certo, se consideriamo il libro come un semplice prodotto, se questo prodotto non vende è perché nessuno lo compra. E idem se le piccole librerie falliscono o faticano a stare a galla, è perché chi compra i libri li compra da qualche altra parte, perché pensa solo ed esclusivamente allo sconto.Ma qualcuno si è mai domandato perché (è una domanda retorica, ovviamente, spero ben che qualcuno prima di me se lo sia già domandato)? Perché prima si compravano più libri e ora se ne comprano meno? Di colpo tutti i lettori sono diventati non lettori, o c’è qualcosa dietro (tipo: la crisi economica che colpisce le famiglie, l’eccessiva produzione di roba di pessima qualità, la mancanza di politiche atte a diffondere e salvaguardare l’importanza e la necessità del leggere…)? E davvero i lettori frequentano meno le librerie indipendenti solo ed esclusivamente per il discorso dello sconto?
Non lo so, onestamente trovo che colpevolizzare così i lettori, o potenziali tali, non sia una cosa molto furba. Sarà, come dicevo prima, che io leggo tanto, che compro tanto ma che sfrutto anche prestiti e biblioteche, e sono davvero un po’ stufa di sentirmi colpevolizzata, più o meno direttamente (che so che il librario di Firenze non ce l’aveva con me, lettrice rampante), per una crisi che ha sicuramente in parte origine nel fruitore finale, ma anche in chi i libri li produce e li vende. E’ troppo semplice dire “gli italiani sono tutti un branco di caproni ignoranti ed è per questo che noi stiamo fallendo”, senza fermarsi a riflettere su cosa si potrebbe fare per invertire questa tendenza. Io conosco poi tanti, tantissimi lettori forti come me, se non anche di più. Possibile che davvero noi non contiamo assolutamente nulla? Che le statistiche siano sempre così negative, così pessimiste? Certo, è giusto dire e sottolineare e scandalizzarsi di fronte a “il 50% degli italiani l’anno scorso non ha letto nemmeno un libro”, ma perché non sottolineare anche che c’è un 5% o un 10% (sono cifre a caso, magari sono anche più alte), che l’anno scorso ne ha letti 30 o 50? Premesso che anche io sono convinta che chi non legge dovrebbe farlo, perché si sta perdendo qualcosa oltre che di bello anche di utile per affrontare il mondo che lo circonda, perché bisogna sempre guardare al negativo? Perché si ha questa tendenza a colpevolizzare quel 50% anziché elogiare l'altra metà? Perché si pensa che l’unico modo per stimolare sia far nascere sensi di colpa?
Ora, non sono sicura che questo post abbia un suo senso, né di quello che effettivamente avevo intenzione di dire. Dico solo che, secondo me, si passa molto più tempo a lamentarsi che non a fare effettivamente qualcosa. Quel libraio di Firenze ha visto benissimo che stavo per entrare e mi sono fermata. Magari avrà pensato che era perché lui non faceva sconti e mi ha lasciata andare. Avrebbe potuto uscire e parlarmi. Quell’editore le cui vendite si sono ridotte potrebbe ad esempio riflettere un attimo su cosa sta pubblicando, sul prezzo a cui lo sta pubblicando (eddai su, 20€ per un libro nuovo di meno di 300 pagine è un furto).Quegli scrittori che pubblicano con case editrici piccole, riflettere meglio su come fare a promuoversi, senza limitarsi semplicemente a inviare comunicati stampa copia-incolla o mail cumulative in cui, guarda caso, dicono che hanno appena scoperto il tuo bellissimo blog. (Non è il caso dello scrittore di cui vi ho raccontato qui eh, è un discorso generico).
E’ davvero troppo semplice dare la colpa sempre e solo agli altri.