Magazine Pari Opportunità

di casalinghitudine e di cura

Da Suddegenere

Antefatto

Un paio di settimane fa, siamo usciti con  amici con prole, per pranzare assieme la domenica. Ad un certo punto, prima  di proseguire la giornata a casa di un paio di loro, si è presentata la necessità di comprare una serie di cose. Un’amica si è offerta di occuparsene lei e all’unisono  ci siamo guardate in faccia, tra donne,  e abbiamo detto  <<quasi quasi iniziate voi (uomini) ad andare a casa con i bambini, che noi vi raggiungiamo>>. Apriti cielo! <<Ma come!? – hanno risposto – Non potete portarvi dietro “almeno” le bambine? Ma come!? Noi non ce la facciamo con tutte queste bestioline assatanate e in più ci vogliamo riposare.>> Non l’avessero mai detto…..(fu così che le tre  si trasformarono in Erinni)

Un piccolo esperimento  poco scientifico 

Sfogliando un quotidiano mi è capitato sotto gli occhi un articolo secondo cui  se una casalinga dovesse percepire uno stipendio per le numerose mansioni che svolge, guadagnerebbe circa 7mila euro al mese. Ne ho scherzato e discusso con Piero, tra le altre cose gli ho detto che certamente ritengo preferibile “un lavoro extradomestico” che nell’immaginario collettivo è semplicemente “un lavoro” visto che il lavoro casalingo giammai viene considerato come tale ma come una sorta di dovere familiare/dovuto sociale, ma che  se vivessimo in un paese civile (cosa che non è, da molteplici punti di vista) alle casalinghe dovrebbe essere corrisposto uno stipendio. Il gentile consorte è abituato a lavorare con i numeri ed è un tipo molto preciso e pignolo e sebbene io avessi una idea molto chiara  e non sentissi l’urgenza di un simile esperimento per poter trarre una qualunque conclusione, sebbene sapessi che il mio fegato ne avrebbe risentito, ho deciso  di fare un piccolo esperimento e di registrarlo scrupolosamente su una tabella (come  suggerito dal tipo pignolo). Ho, inoltre, interpellato 9 donne casalinghe, tra i 35 e 42 anni (di cui 7 laureate e 2 diplomate, non indulgo su quanto sia stato semplice “trovarle”)  che per ora mi limito a citare nelle “conclusioni”. Per quanto riguarda il piccolo esperimento, è consistito in una cosa assolutamente  banale: per cinque giorni ho fatto esattamente quello che fa sempre una casalinga “responsabile”e assennata, ovvero quello che fa il 90% delle casalinghe che conosco, nonché il 60% delle donne che lavorano fuori e dentro casa, che conosco (in Calabria ma non solo), perché la realtà è che conosco  (e secondo l’Ocse sono) pochissimi gli uomini che danno un aiuto sostanziale (nei lavori domestici e nella cura della prole) alle loro compagne/mogli che lavorano (e non conosco nessuno che sia di supporto alla compagna casalinga). Il piccolo esperimento l’ho fatto principalmente per far capire a Piero (e chissà mai, a Giovanni) la consistenza, il significato e il “valore” di quello che hanno fatto e che fanno le nonne di Gio da una vita (n.b. nonne discretamente giovani, molto istruite, che hanno sempre lavorato molto fuori casa), sperando che  la prossima volta che gli verrà in mente di chiedere loro qualcosa che comporti sforzo e sacrificio conteranno fino a cento; ma anche per dare l’idea di che aria tirerebbe in casa nostra se io mi comportassi come quella che non sono. 

Nella quotidianità sono tutt’altro che una casalinga assennata, ad eccezione della cura del bambino (e di quello che chiamo: piccole cose di valore economicamente inquantificabile): non stiro, da quando il bambino ha iniziato a gattonare (era una scusa e poi l’ho fatta diventare una regola); c’è sempre un certo disordine in casa, per almeno 5 giorni su 7; le verdure fresche/le pietanze elaborate, tutto ciò che costa fatica ad essere preparato, ce le recapita mia suocera; la cesta della biancheria da lavare è sempre strabordante; se c’è qualcosa da cucire mi basta fare lo sguardo pietoso e Zizibè se ne fa carico. Per mia madre sono una specie di “disastro”ambulante, una scusa in più per accrescere i suoi sensi di colpa : << Certo che potresti anche metterti un poco più d’impegno, eh. Del resto è colpa mia che non ti ho abituata a occuparti di queste cose>> . Mia suocera, invece, mi guarda pietosa scuotendo il capo  e ci mette il carico da cento<< Non mi piace vedere che ti sprechi così (!)>> mentre a lei, per qualche recondito motivo, viceversa è consentito ammazzarsi di fatica. Ricordo ancora un’accesa discussione con una zia, la scorsa estate. Venne fuori il fatto che non stiro, al che lei in preda all’  orrore  mi disse << e come fa tuo marito? Ma insomma, che cavolo fai allora nella vita?>>. Io le risposi in maniera ferma che mio marito, se vuole, se le stira da solo le camicie e che quello che faccio io sono affari miei, la qual cosa innescò una discussione memorabile (da Rocky Horror Picture Show). Se c’è una cosa che, da quando ne ho afferrato l’esistenza e l’entità, non ho mai tollerato – in mia mamma per prima e di riflesso in ogni donna che ho conosciuto, compresa me stessa quando si tratta di Giovanni – è la totale abnegazione con la quale si danno agli altri (che rasenta la rinuncia a se stesse), lo zelo con cui molto responsabilmente sentono di dover adempiere necessariamente a quelli che ritengono  “doveri imprescindibili” nei confronti di figli/genitori/mariti/casa/( nonché  lavoro extradomestico, non fosse mai…),  a costo di vivere un’esistenza in  apnea, faticosissima, fatta di costanti privazioni personali. Per qualche misteriosa coincidenza astrale, viene sempre prima qualcos’altro. Questa, per loro, si chiama cura ed è ovviamente  un dovere morale e sociale Cura degli altri, del mondo che le circonda, che non riguarda quasi mai se stesse, i propri bisogni, i propri desideri, situati per lo più all’ultimo gradino delle priorità. Mi dispiace, non  sono d’accordo, non avrete la mia collaborazione, voglio vivere. Dal trappolone mi tiro fuori e lo ammetto: “sono una disgraziata”.  Ho un’altra gerarchia di priorità e  “rubo parte del  tempo dovuto” per leggere/uscire con un’amica/darmi lo smalto alle unghie dei piedi/scrivere/(finanche) cercare lavoro, senza neanche un briciolo di senso di colpa.

Durante il mio esperimento non ho avuto tempo per leggere. La cosa peggiore però mi è capitata di notte:  proseguivo in sogno le classiche conversazioni  che si ripropongono con altre mamme all’uscita di scuola (oddio che incubo!). Mi sono sentita un poco sola,  poco sorridente (anche se sempre disponibile ad occuparmi della qualunque). Confermo che alcuni studi ammmericani sono delle colossali baggianate  (voglia di tenerezze e sesso: meno 100)

In media sono stata in piena attività per circa 12 ore al giorno, il che non è affatto un dato astronomico se penso che le donne, di cui conosco i ritmi di vita, che lavorano fuori dalle mura (mai termine fu simbolicamente più appropriato) domestiche sono impegnate  allo stesso modo se non di più, anzi forse proprio di più. La differenza sostanziale sta in tre cose: la prima è senz’altro il riconoscimento economico, che a prescindere dall’indice di gradimento e di soddisfazione del lavoro, esiste e  permette di sentirsi (più) libere ;  la seconda è il luogo di socializzazione, che ritengo comunque essenziale; la terza è la frustrazione di svolgere mansioni e occupazioni faticose che non danno alcuna soddisfazione (almeno, a me no) e si ripetono all’infinito con i medesimi gesti. 

casa linga

 

Reazione dei familiari: Piero non si è lamentato mai (il che non è usuale), piuttosto mi sono lamentata io per una certa sciatteria con cui mi è parso si muovessero, per la serie <<tanto passa la casalinga a mettere a posto>>; ha iniziato ad offrirsi “volontario” per lavare piatti e riassettare la cucina la sera; Giovanni si è sentito a suo agio in una casa costantemente ordinata e con una mamma così efficiente, ma contemporaneamente si è lamentato con il padre perché  <<fa tutto la mamma, non è giusto, poi si stanca troppo >> sottotitolo: <<  sta di cattivo umore e poi chi la sopporta>>

Conclusioni, in breve

-Se non credessi profondamente al fatto che tutto ciò che siamo sia ascrivibile a un processo culturale, penserei che a noi donne (lo so, giammai si dovrebbe generalizzare) fondamentalmente manca l’istinto di conservazione personale ma abbiamo solo quello della specie.

-Mi faccio sempre più convinta che la maggior parte di chi teorizza sulla cura non abbia mai fatto (a tempo pieno) o non abbia mai voluto fare la casalinga: questo è l’unico discorso rispetto a cui sono sempre stata in netto dissenso con un’amata sorella ed è l’unico argomento che mi fa sentire politicamente  distante “a prescindere” e profondamente differente da chi si può definire intellettuale (io non lo sono e non ho mai creduto d’esserlo). “Cura” per me è l’eccezione di quella “pratica femminista tramite cui ci siamo riappropriate di significati che il patriarcato ha distorto a proprio uso e consumo.” (cit. dell’amata) ovvero: come la giri e la volti, se ci caschi dentro ti inghiotte.

-Mai credere ad una donna che dice << ho scelto di fare la casalinga e ne sono felice>>. Delle 9 donne che ho interpellato, alla prima domanda << sei casalinga per scelta?>> tutte hanno risposto con convinzione: <<SI>>. Ma è bastato intrattenersi un poco, per cercare di capire le motivazioni di questa “scelta” per venire a conoscenza che in realtà su 9 donne: 3 hanno scelto di fare la casalinga perché il datore di lavoro non permetteva il part time (e con due figli la cosa creava problemi di gestione familiare); 1 perché il datore di lavoro permetteva il part time esclusivamente nel pomeriggio, e con due piccoli alla materna la cosa creava disagio psicologico oltre che di gestione familiare; 2 sono state licenziate con il secondo figlio e hanno accolto il suggerimento dei mariti <<hai voluto due figli e ora che fai, li fai crescere a qualcun’altra?meglio arrivare a stento a fine mese che mollare i bambini a qualcun’altra>>; 1 è stata licenziata con il primo figlio e si è persa d’animo; 1 ha avuto i bambini mentre faceva pratica forense e nessuno studio l’ha accolta in seguito perché mamma di due bimbi piccoli (che si sa, si ammalano facilmente e allora non puoi fare la schiava gratis come richiedono loro); 1 ha lasciato il lavoro per seguire il marito che è stato trasferito in un’altra regione e non se l’è sentita di dividere la famiglia; 1 ha perso il lavoro quando l’azienda ha dovuto chiudere i battenti, ha avuto subito un figlio e dopo un paio di anni non è riuscita a reinserirsi nel mondo del lavoro. Nessuna pare sia veramente felice della situazione in cui si trova, se potessero lavorare (col sogno del part time) sarebbero tutte ben contente e accetterebbero all’istante (perché adesso i bambini non sono più piccolissimi), soffrono tutte di solitudine.

Non avevo intenzione di condividere il mio piccolo esperimento, ma poi sista Lola, durante una delle nostre  telefonate, mi ha chiesto una cosa del tipo “che stai a ffà?”, io ho risposto “la regina della casa”, allora lei (testualmente) “ancora? Ribellati, sorella”. Mi era venuta in mente  una cosa che non le ho detto subito, ma che scrivo qua:

                                              Effetti collaterali

La casalinghitudine crea dipendenza. Se la conosci, però, non ti uccide.


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