“Di’ che Gerusalemme è” – Ilana Shmueli

Creato il 08 agosto 2013 da Temperamente

Oggi voglio parlarvi di un libro speciale, ma certamente non di facile lettura. Sono sicura, però, che saprete apprezzarlo così come ho fatto io. Con questo libro Ilana Shmueli, scrittrice ebreo-tedesca, ci permette di conoscere un importante tassello della vita e della poesia di Paul Celan, suo amico di infanzia. Anche lui ebreo-tedesco. Si tratta di scrittori, tra cui anche Heine e Lasker-Shüler, che si collocano in un contesto molto particolare: la letteratura ebraico-tedesca. Non bisogna intendere i due termini in maniera separata in quanto denotano un reciproco scambio tra due culture. I prodotti letterari che nascono in questo “terzo spazio”, come lo definisce Babha, sono davvero suggestivi e meritevoli di attenzione. Ma soffermiamoci su questo libro di Ilana Shmueli, pubblicato trent’anni dopo la morte di Paul Celan.

Nel sottotitolo leggiamo Su Paul Celan: ottobre 1969 – aprile 1970. In questo arco di tempo Paul Celan si reca a Gerusalemme nella speranza di trovare la patria perduta a causa della furia nazista. Tuttavia non sarà così, Celan «sapeva dell’impossibilità di “insegnarsi patria”, perché “estero” e “patria” erano per lui non più distinguibili; e tuttavia venne con l’attesa assurda di rendere possibili, anche solo per attimi, queste impossibilità». A Gerusalemme ha modo di incontrare i suoi amici di infanzia e di fare letture pubbliche delle sue poesie, le quali vengono molto apprezzate. In realtà, però, Celan non si sente compreso, la sua scelta di scrivere in lingua tedesca non viene compresa. Lui scrive nella lingua dei nemici perché è la sua lingua-madre ed è la sola con la quale è possibile ricostruire un mondo dopo l’Accaduto, qualcosa che non fu un sacrificio religioso (Olocausto) e neanche una catastrofe ambientale (Shoah), ma una distruzione operata dagli uomini. Gerusalemme diventa patria del poeta solo nella poesia, solo nel Jerusalem-Zyclus, che scrive una volta tornato a Parigi. È il suo farsi lingua a renderla dimora di Celan. Ilana Shmueli in questo libro ricorda e commenta quei giorni, inserendo le poesie di Celan scritte al suo rientro e inviate alla sua amica d’infanzia. L’opera, infatti, è un ibrido composto da lettere, poesie e commenti, esprimendo un’ibridità che è tipica della letteratura ebraico-tedesca. Per quanto riguarda le poesie, vi avverto, non sono di facile lettura, ma la Shmueli ci aiuta nell’interpretazione. Alcuni versi ci rimarranno oscuri, ma il mio consiglio è di lasciarvi prendere da questa testimonianza sofferta di un uomo e di una donna che hanno vissuto uno dei periodi più bui della nostra storia. A Celan non resterà che “rimbalzare nella vita” dal Pont Mirabeau poiché una ricongiunzione con la patria è possibile solo fra le braccia della morte.

Simona Leo

Ilana Shmueli, Di’ che Gerusalemme è. Su Paul Celan: ottobre 1969 – aprile 1970, a cura di Jutta Leskien e Michele Ranchetti, Quodlibet, pp. 186, euro 16.


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