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Di come uccisero Streghetta (e quindi del perché questo blog chiude)

Creato il 08 gennaio 2013 da Minerva Jones
La chiamavano Streghetta, e lei di fatto lo era - ma una di quelle buone, che vivevano nei boschi, che non raccoglievano i fiori per non provocarne la morte e che parlavano con tutte le creature che per altri erano inanimate o invisibili (gli alberi, gli animali, il sole tra le fronde, i minuscoli folletti). Quando la sua famiglia si trasferirì in città, la madre cadde ammalata e morì. Streghetta, in quel momento, stava giocando con i suoi amici folletti nel parco e lo seppe solo qualche ora dopo. Ma ciò non aveva importanza, perché era piccola, e l'assenza di sua madre si sarebbe fatta sentire piuttosto negli anni a venire.
Quando crebbe e diventò una bella maghetta, aveva capelli lunghi castani, occhi grandi da cerbiatto e un corpo sinuoso e perfetto - sebbene lei non lo sapesse, anzi, si sentisse pure bruttina, ché nessuno, neanche le sua compagne alla scuola di perfezionamento per streghe, glie l'aveva detto. Un apprendista stregone, di qualche anno più grande e con genitori ch'erano maghi potenti, un giorno però la portò nel bosco senza tanti complimenti e lì Streghetta capì d'essere diventata un potenziale oggetto di desiderio maschile. O meglio: un potenziale oggetto. E tale rimase, in quella finzione, non potendone parlare con nessuno - visto che suo padre intanto aveva perso il lavoro per maghi analoghi ai suddetti così potenti, e s'era rifugiato nel suo studio polveroso a leggere vecchi libri e a ricordare la moglie scomparsa ancor giovane senza più praticare magie. Per Streghetta non c'era nessuno, neanche cui raccontare o sentire che non era stata colpa sua ciò che di brutto le era capitato.
Al contrario, le fecero credere che lei era così, che se l'era voluta. Si sentiva sola, non amata, sbagliata e di serie b - e lo era, per quel mondo - così, quando gli altri facevano di lei ciò che volevano, lei chiudeva gli occhi e inventava storie per dirsi che non era così, che in realtà andava tutto bene, e che la stavano abbracciando per proteggerla e tenerla al caldo e non perché un abbraccio casuale capitava sempre nel sesso subìto senza amore. E cominciò a sentirsi soffocare dalla cattiveria degli umani di città. Lei stava bene in mezzo ai fiori, agli animali, ai ricordi di quando era bambina e c'era ancora sua madre. Le mortificazioni, le minacce, le violenze del mondo adulto e della gente di potere l'atterrivano. Cominciò a stare sempre più tempo da sola - anche solo per paura che le facessero del male ulteriore.
Ogni tanto capitava qualcuno che sembrava incantato da lei. Lei non poteva crederci, eppure ne era ogni volta entusiasta. Ci vuole così poco a prendere in giro una persona fragile! Così lei si lasciava andare immaginando fosse sincero - malgrado tutto quello che aveva patito, non poteva neanche credere che esistesse una cosa che si chiamava menzogna a quel livello. Si diceva che gli umani erano stupidi e incapaci, forse, ma non cattivi, malvagi, perversi.
Ogni volta che però costoro la riportavano alla realtà e le ridevano in faccia del suo essere stata così ingenua nei loro confronti, lei ci stava un po' male, ma nel tempo aveva anche imparato che la sua sensibilità era così piena di sfumature che poteva vedere e prendersi cura di coloro che stavano peggio di lei - tra i quali, sia chiaro, lei si sentiva benissimo e finalmente 'normale'. Allora, appena fu più grande, tornò sui libri e studiò, studiò e studiò, e si mise a scrivere e pensare parole calde e d'amore per chiunque avesse incontrato. E non le importava prendere il Potere, ma riuscire a confortare piccoli numeri, e magari cambiare dal basso le vite delle persone in meglio. E ci riuscì, ci riuscì così tante, tante volte!
Questo le riempiva il cuore, e dava senso alla sua vita. A tratti la rendeva anche felice. Danzava in compagnia degli amici, e sentiva che questi le erano grati. La sua vita aveva finalmente un senso e  c'era spazio - uno spazio infinito - in cui tutti brillavano insieme nel calore e nella felicità.
Finché...
Finché vivere - in città - divenne sempre più difficile. Ormai l'inquinamento ambientale e acustico era divenuto insopportabile. Le persone perdevano il lavoro e i risparmi di una vita, venivano soffocate nelle loro possibilità di sopravvivenza quotidiana e ancora partecipavano a quel sistema tenendolo in piedi - vittime e complici della loro stessa distruzione. Streghetta alzava la voce, per gridare ancora a tutti quanto fosse importante amare, essere liberi, essere veri; gridava di ribellarsi, invocava disperata l'autoriflessione e la rivoluzione a partire da sé, dai prori sogni e desideri, dalla propria vita quotidiana. Ma il rumore copriva i suoi sforzi. Tossiva, ormai, e sentiva che aveva sempre meno forze.
Quelli che erano stati i suoi amici la guardavano ora con stanchezza e scuotevano la testa alle sue esortazioni: "Sei un'illusa!", le dicevano, "Sei un'ingenua!". "Guarda la realtà, adeguati!". "Cosa continui a parlare? Non ti rendi conto di dove vivi?". Alcuni di loro, inoltre, avevano ripreso - come bestie affamate quanto disperate - a mirarle il corpo ancora così aggraziato. Solo che ora Streghetta era cresciuta, e - non che non avesse piacere di baci, abbracci e calore umano - ma non era più disposta a riceverli in cambio di sesso o di un accordo di proprietà e di prigionia. Così chi la volle negli ultimi anni la dovette ingannare per prendere da lei ciò di cui di volta in volta aveva bisogno.
Streghetta giorno per giorno perse le forze, e la sua luce piano piano si spense. Le sue ultime parole, pronunciate mentre ancora sorrideva tra le lacrime che non riuscivano ad arrestarsi, furono "Beh, ci ho provato, ci ho creduto davvero sino all'ultimo". Di fatto, tutti e nessuno uccise Streghetta. Semplicemente morì, e con lei tutto quello in cui aveva creduto. Passarono pochi giorni e nessuno se ne ricordò più. Il mondo continuò ad andare avanti qualche secolo, finché non finì anche quello, ma in una meravigliosa esplosione di luce che Streghetta avrebbe amato moltissimo*.
*PS. Non mi sto suicidando, tranquilli, sto solo chiudendo il blog, perché non ha più senso. Questo progetto, questo sogno, è semplicemente fallito. Ho scritto questo testo per salutarvi, il blog lo chiuderò tra un paio di giorni, quando questi saluti, e l'amore relativo che ho provato nello scriverlo, vi abbia raggiunti.

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Da Mario Barbagallo
Inviato il 17 marzo a 09:31

Ciao streghetta peccato che hai conosciuto solo stregoni cattivi