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Di fronte a un esorcista.

Creato il 03 settembre 2012 da Dbellucci

Lo chiamerò Michele, un nome qualsiasi, perché lui non sa che ne sto scrivendo e non sono certo che sarebbe felice, dato la sua riservatezza. Ne parlo solo ora, a quasi tre anni dal nostro primo incontro. Il motivo non è importante. Un motivo qualsiasi va bene.

Tre anni fa non stavo bene. Nulla di grave da un punto di vista clinico, tuttavia avevo preso male il fatto, mi ero alquanto abbattuto, fino a che il peso di una tristezza persistente soppiantava di gran lunga la patologia, mescolandosi ad ansie e ipocondrie. Dopo molti prologhi, mi dissero di andare da Michele, che mi avrebbe aiutato. Michele riceve in Emilia, un po’ lontano da casa mia. Chi è Michele?, chiesi. Mi risposero, con un po’ di imbarazzo, che Michele è un esorcista. Ebbene, l’idea di essere posseduto non mi era passata per la testa. Ad altre cose ero arrivato, ma non a questa. Ci aggiungiamo che ognuno di noi ha uno suo approccio personale, generalmente scettico e timoroso, su questi argomenti, e tra noi tanti che si definiscono uomini di fede. Mi dissero che Michele non necessariamente fa un esorcismo. Magari ti benedice solo, nulla di più. Chiusi l’uscio a queste cose, anche un po’ rabbiosamente. Figuriamoci. Io, un fisico, da un esorcista.

Guarda che ha fatto del bene a tanti, badavano a dire.

Guarda che ha curato alcuni dal cancro.

Guarda che mia zia è diventata un’altra persona dopo averlo conosciuto.

E io: bla bla bla.

E loro: ma che male ti farà? Non ci credi? Allora vai.

E io: non è che non ci credo, ma sono suggestionabile ed è meglio non sapere. E poi sì, non ci credo. Potrebbe essere un fanatico, un farabutto, un… lasciamo perdere.

Alla fine però cedo. Che m’importa?, penso.

Dico di telefonargli, perché non esiste che lo faccia io, e di chiedergli se devo andare da lui. Coi suoi super poteri lo saprà di sicuro.

Passano i giorni. Io sono fortemente tentato ad andare, naturalmente più per curiosità che per altro. Tuttavia, tutto quello che concerne il paranormale, gli spiriti, il diavolo e così via mi ha sempre riempito di paura. Io sono uno che guarda “L’esorcista” con le mani davanti agli occhi, attraverso le fessure tra le dita, e poi fa incubi tridimensionali per una settimana. Insomma, sono un razionale pieno di sogni che vanno al galoppo e gli sfuggono per la stanza. Mi avrebbe fatto male andare da uno così.

Passarono i giorni e mi spiegano che Michele vuole vedermi: dice che IO HO BISOGNO di lui. Subito prendo la cosa a male parole. Mi impunto. Reagisco come una furia. Mi pare un’umiliazione intellettuale che io vada a conoscere questo individuo.

Alla fine cedo ancora. Andiamo.

Per mia sfortuna la strada è lunga, quindi piena di ripensamenti, e ogni dieci chilometri sono lì per girare la macchina e tornare indietro. Ho nella mente le testimonianze di molte persone che Michele ha aiutato, gente che non avrebbe il motivo di mentirmi, gente di cui mi fido. Eppure no. Mi dico che al massimo l’incontro con quell’uomo, senz’altro fuori dal normale anche se non necessariamente al di là del normale, ha smosso leve che non conosciamo, indotto approcci positivi in individui provati psicologicamente, cosa che può causare, che so io, un potenziamento del sistema immunitario e da qui la cura. Per i depressi, è più facile. Curiamo il cul de sac mentale aprendo nuove strade mentali con un po’ di suggestione, una carezza all’emotività in luoghi inaspettati, due buone parole e track, addio depressione.

Alla fine arriviamo. Mi dicono di entrare senza dare peso al contorno, che ha tutti i crismi del pacchiano da invasati. La strada è piccola, con casette deliziose una accanto all’altra, tutte ad un piano. È gennaio, fa freddo. Davanti alla porta non c’è nessuno, ma una telecamera mi fissa. Sull’unico campanello c’è scritto solo il nome: Michele. Michele è molto noto nella sua diocesi, in tanti vanno da lui, anche da lontanissimo, è un uomo di grande fede. Prima di dedicarsi a tempo pieno alle… preghiere per gli altri, faceva un lavoro comune. Dovette smettere perché – si dice – le sue mani “accendevano” le cose. Pezzi di carta, soprattutto, che si incendiavano al tocco. Penso sia diacono, anche se non ne sono sicuro. Di sicuro ha famiglia.

Suonai, mi aprirono ed entrai. Non c’era nessuno. L’impatto è stato forte, anche se mi avevano preparato. L’ingresso e la piccola sala di aspetto, con sedie in formica e un tavolino pieno di riviste a tema religioso, è un tripudio di statuette della Madonna, immagini sacre, ex voto, ritagli, lettere di gente che lo ringrazia, lucine e un bell’altare con tanto di candele e fiori al patrono della città, insieme ad un ritratto di Giovanni Paolo II. Nell’aria c’è un ottimo profumo e la radio FM è sintonizzata su una radio che trasmette il Rosario. La tentazione è quella di uscire e andarmene. Se l’effetto della benedizione sarà basato sulla mia fede in quell’uomo, penso, allora stiamo come tre su una seggiola. Mi siedo. Aspetto un po’ e non succede nulla. Mi chiedo se in effetti ci sia qualcuno dall’altro lato della porta che c’è al fondo della sala. Intanto leggo un po’ in giro, sulle pareti. La gente si spertica in lodi per Michele. Poi finalmente arrivò un barlume di presenza umana. Voci a frammenti oltre la porta. Si avvicinarono. La porta si aprì. C’era un ragazzo che usciva sorridendo e ringraziando, tranquillo, con una cassa di bottiglie di acqua. Accanto, ecco Michele. Mi alzai. Michele era vestito di bianco, con un camice, sulla sessantina, capelli quasi bianchi, barba. Sul camice, un crocifisso. Mi è sembrato molto affabile. Diceva di non preoccuparsi e stringeva la mano al ragazzo. Il ragazzo esce. Io mi faccio avanti, ma Michele rientra nel suo “ufficio” e chiude la porta, senza dirmi nulla. Bah. Passa qualche minuto. La porta si apre di nuovo. Sempre lui, con un biglietto in mano. Legge: “Paolo? C’è Paolo?”. Io faccio di no con la testa. Continua a leggere: “Allora… Devis. Sei tu Devis?”. “Sì, sono io”. “Vieni, vieni” e sono entrato, tirandomi dietro l’uscio.

Naturalmente, il disagio è stato grande. Non avevo mai visto l’ufficio di un praticante di questa attività, e guardo curioso a destra e a sinistra. A sinistra, una riproduzione in grande della grotta di Lourdes con tanto di fontanella e acqua che zampilla. Sì, Michele ha una fontana in ufficio. A destra, un lettino da studio medico. Mi viene freddo all’idea. Tutto intorno, medagliette, crocifissi, immagini varie. Seduto dall’altro lato della scrivania, Michele mi chiede chi sono e che cosa è successo. La sua voce è calma, mi piace, ma il freddo mi assale un po’ e ristagna. Mi impongo di ricordare che sono un tipo emotivo, molto emotivo, e con grande fantasia, e scrivo romanzi, molti romanzi. Racconto un po’ di me. Mi ascolta. Gli dico che sono lì perché lui ha detto al nostro amico comune che io ho bisogno di lui. Michele si alza, sposta la sedia, la sistema davanti a me e si siede di nuovo.

“Vediamo” dice.

Mi appoggia le punte dei pollici sulla fronte, appena sopra gli occhi. Ora sono tranquillo.

Appena i pollici premono sulla pelle, sento un forte dolore che mi sorprende e mi spaventa. Mi ritraggo. Lo stesso dolore di quando ho la sinusite o gli attacchi di emicrania.

“Cavolo” dico. E sorrido.

Michele fa una smorfia. “Sì, hai bisogno”.

“Davvero?”.

Allo stesso modo appoggia il palmo della mano sul mio petto, al centro. Anche qui, un dolore intenso mi sorprende, come se premesse su un livido fresco. Toglie la mano. Non riesco a crederci. Penso che abbia qualche trucco. D’istinto premo io sul mio petto, nello stesso punto. Non sento nulla. Premo forte. Tutto normale. L’acqua scorre nella fontanella.

“Che cos’ho?” chiedo.

“Nulla di grave. Deriva da chi ti vuole male”.

“Mi faccia capire. Parla di quella cosa volgarmente detta “malocchio”?”.

“Chiamala come vuoi. Qualcuno ti vuole male e tu stai male”.

“Tutti hanno qualcuno che gli vuole male”.

“Ma non tutti hanno qualcuno che desidera ardentemente il loro male. Gente che si brucia dentro dall’invidia. In alcuni casi queste persone, senza saperlo, sono capaci davvero di far stare male le persone. In alcuni casi l’odio e l’invidia si concretizzano davvero come frecce. Tac. Vanno nel bersaglio”.

“Mmm…”

“Non temere. Loro stanno molto peggio di te. Tu hai fede?”.

Vorrei chiedergli se intende: “fede in lui”. Sto zitto. Faccio una smorfia.

“Sì…” rispondo incerto.

“Quanta ne hai?”.

Allargo le braccia. Come faccio a saperlo?

“Vai alla Santa Messa?”.

“Cerco di andarci quando posso, come tutti”. Aggiungo un bel “più che posso” per tirare sul prezzo. Mi sento via via nudo. L’acqua scorre sempre.

“Ne parliamo dopo. Mettiti sul lettino”.

“Può togliere il male da me?” chiedo.

“Certo. Si fa presto. Non è grave, ho detto”.

Vado al lettino.

“Devo togliermi le scarpe?”.

“Va bene così come sei”.

Guardo sul soffitto la luce al neon. Non riesco a credere né a dove sono, né a quello che stanno per farmi.

Viene accanto a me. Prende il crocifisso che ha al collo e lo fa penzolare sulla mia fronte. Non accade nulla, mi sembra.

“Cominciamo. Nel nome del Padre, del Figlio…”

Faccio anche io il segno di Croce.

Di nuovo appoggia i pollici sulla fronte, poi il palmo sul mio petto, poi nel fianco sinistro. Tre dolori forti, fortissimi, come se avessi dei lividi freschi.

Mi fa cenno di portare pazienza.

Comincia a pregare, ripetendo molte parole e appelli ai santi, cose che non ricordo. Non le ricordo perché il dolore è forte. Mentre parla ininterrottamente mi preme i pollici sulla fronte, sul petto, sul fianco destro, poi su quello sinistro. Lì è quasi insopportabile. Stringo i denti ma mi escono le lacrime dagli occhi e intanto in testa si affollano le domande, l’eco della preghiera, l’acqua della fontanella. Tutto si fa inciampo a vicenda. Lui continua, continua. Preme sempre di più. Poi prende dell’acqua e mi bagna in vari punti, poi riprende a premere col palmo della mani. Di nuovo dolore. Ripeto con lui il Padre Nostro. Scompare da subito il dolore al petto. Preme e non sento più nulla. La preghiera continua e lui passa le mani, velocemente come una carezza, sulle gambe, sulle mie mani, sul viso, sui piedi. Altre invocazioni ai santi, poi un attimo di silenzio. Da una mensola Michele prende un foglio con un testo scritto a caratteri molto grandi. Legge la preghiera. Passa le mani sulla fronte. Non sento più nulla. Solo un calore buono. Istintivamente sorrido. Mentre prega sento che dice: “Meglio, eh?” e continua. Come ogni dolore che passa, resta serenità. Quiete. Sto bene. Continuo a sorridere. Michele prende da un boccettino dell’olio e mi sfiora la fronte, i polsi, le caviglie. Non ho più dolore da nessuna parte. Preghiamo ancora un po’. Potrei quasi addormentarmi. Al che sento che dice “Amen”.

Apro gli occhi.

“A posto. Finito. Male, eh?”.

“Già”.

“Ma devi tornare”.

“Come.. tornare”.

“Tra qualche giorno. Devo verificare di avere tolto tutto”.

“Ma i miei disturbi passeranno?”.

“Te lo firmo al mille per mille”.

“Subito?”.

“No, subito no. Abbiamo tolto la causa. Adesso devi guarire normalmente. Non è un miracolo. Io tolgo la causa”.

Francamente, ci rimango male. Speravo nel miracolo. Scendo dal lettino. Ho addosso un ottimo profumo di olio aromatico, che riconosco essere l’odore del luogo.

Ci sediamo l’uno di fronte all’altro.

“Prendi dei farmaci?” chiede.

“Poca roba”.

“Buttali via. Buttali nel fiume”.

“Nel fiume?”.

“È un modo di dire. Buttali via”.

“E lei mi assicura che passa tutto?”.

“Sicurissimo”.

Divento curioso.

“Michele, può tornare a quello che avevo? Mi hai detto che è causato dall’invidia di qualcuno, dall’odio. Quel qualcuno lo sta facendo anche adesso, anche oggi. Domani siamo daccapo”.

“Vedi, tu hai tutte le armi per difenderti, e quelle armi sono le sole armi che abbiamo, ma sono potentissime. Lo ripeto sempre: la Santa Messa, la Santa Eucaristia, la Confessione. Poi ci aggiungi la preghiera personale, che è fondamentale e deve essere quotidiana. Mica 50 ore al giorno, eh, ma ricorda, tutti i giorni stai un po’ con Gesù nella preghiera. Ad esempio un Rosario, una lettura meditata, secondo quello che desideri. Tu, invece, che cosa fai? Un Padre Nostro e un’Ave Maria e stop? Due minuti e stop?”.

Sto zitto. Sono esattamente due i miei minuti.

“Non è abbastanza. Due minuti? Hai così poco bisogno di parlare col Signore? Di ascoltare quello che ti deve dire? Poi la gente diventa depressa, si ammala, si angoscia, va nei matti. Due minuti dedicano. Non mi dire che non avete tempo. Non avere tempo è anch’esso un muro che ci separa da Dio. Tu hai tutto il tempo che vuoi”.

“E se uno non crede? Come fa a difendersi?”.

“Non può. Non si difende. È indifeso. Ma tanto al diavolo non interessano quelli che non credono. A lui interessano i credenti, di solito. Va a rompere le scatole a loro. Ma ti ho detto, nessuna paura del male o del diavolo o dell’invidia, se hai fede. La Santa Messa, la Confessione, la Santa Eucaristia. E mi raccomando, la Confessione. Che se non ti confessi macchi anche l’Eucarestia. Ti dirò di più. Alla fine della Confessione, hai presente quando il sacerdote si alza in piedi per la benedizione e invoca il perdono e la pace? Bene. Quella benedizione è una frustata in faccia al diavolo. Fortissima. Tu immagina questo che vive nel buio. La benedizione è luce. Non ce la fa, soffre troppo. Scappa. E poi le invocazioni a Maria. Bisogna mettersi sotto il manto di Maria e pregarla. Nessuno ti può fare nulla di male. Anzi, tu stesso sei luminoso e fai del bene con la tua sola presenza”.

Ho un sasso che non mi va giù. Glielo chiedo di nuovo.

“Quindi se uno non crede è indifeso. Non c’è nulla che lo difenda”.

“Non è vero. Dio è misericordia assoluta e non vuole che nessuno vada perduto, quindi interviene. Ma c’è un’altra cosa che vale molto. Tu”.

“Io?”.

“Tu e quelli che hanno fede e la nostra preghiera. Loro non possono difendersi da soli, ma possiamo difenderli noi con la nostra preghiera. Vale infinitamente la preghiera per gli altri, soprattutto per le persone lontane da Dio. Quante volte il Signore si raccomanda di pregare per gli altri! Noi dobbiamo farlo, così aiutiamo i nostri fratelli. Il diavolo indietreggia di fronte alla preghiera perché non può nulla contro Dio e Dio ascolta ogni singola preghiera che gli sia rivolta”.

Ogni tanto mi torna in mente che sono davanti ad un esorcista a parlare del diavolo, e mi stupisco profondamente.

“E a chi capita come a me? Perché non può liberarsi da solo?”.

“Può servire, come in questo caso, la mediazione di un fratello, quando il male ha colpito. Si trascura troppo – io lo dico sempre – la preghiera per gli altri. Io non ho fatto altro che pregare con fede per te. È anche un fatto di umiltà: tu vieni e chiedi ad un fratello di aiutarti e lui con fede provvede. Pensa a quel bel passaggio dove Gesù sta predicando in una casa piena di gente e arrivano degli uomini con un paralitico su una barella. Sono venuti da Gesù per il loro amico, che non chiede nulla. Gesù non li vede, ma loro non si perdono d’animo e fanno una cosa un po’ comica: vanno sul tetto della casa, tolgono le tegole e glielo calano davanti. Colpito dall’amore che quegli uomini hanno per il loro fratello malato, lo guarisce. Quegli uomini siamo tutti noi. Dobbiamo raccomandarci a vicenda al Signore e nulla di male può accadere”.

“Ma tu non hai paura del male?”. La parola demonio faccio perfino fatica a dirla.

“Eh! Figuriamoci. È lui che ha paura. Quando prego per allontanarlo sapessi che frustate in faccia che prende. Lui è ostinato e io lo frusto. Non io, naturalmente. Gesù, nostra Madre la Madonna. Io sono solo un tramite, con la mia fede. Anche se si rimane colpiti. Sapessi che cose che ho dovuto vedere. Robe folli. Proprio qui dentro”.

“Posso chiederti se qualcuno della mia famiglia ha bisogno di te?”.

Michele china gli occhi e ci riflette un po’. Si raccoglie in silenzio. A un certo punto mi verrebbe da chiamarlo, ma lascio fare. Poi torna a guardarmi.

“No, nessuno in particolare. Mamma, papà… nessuno. Ma una benedizione fa sempre bene. Ogni tanto, andate a prendere una benedizione. Non importa venire qui da me. Andate da un sacerdote, da un frate, dove volete. Chiedete una preghiera e fatevi benedire”.

“I miei non è che siano molto praticanti”.

“Ecco. Questa cosa la sento dire sempre. “Io sono credente, ma non pratico”. Che cosa vuol dire? Spiegatemelo. Che avete fede in Gesù ma non sentire il bisogno dell’Eucarestia? Che avete fede in Gesù e non sentite il bisogno della Confessione? Che avete fede in quello che vi fa comodo così non si fa fatica? O che non credete nella Chiesa? Non vi va bene la Chiesa così com’è? Ma la Chiesa sono le persone. Siamo io, te, quelli qui fuori. Per definizione siamo tutti lontani da Dio, dato che siamo degli uomini e si frappone sempre un muro tra la nostra volontà e quella del Signore, tra la nostra volontà e il bene. Ma tutti possiamo aiutare la Chiesa a migliorarsi, partecipando con fede e pregando. Ma quando sento dire che uno crede e non pratica, come hai detto tu, io penso al diavolo. I diavoli credono fermamente in Dio e ne hanno una paura che non ti dico, ma non praticano. I diavoli non sono degli atei e neanche degli agnostici. Sono dei credenti che hanno deciso di non praticare proprio per niente”.

Gli viene da ridere.

Mi alzo, pieno di dubbi, con le sue parole che mi scuotono. Mi saluta affettuosamente, poi prende un biglietto bianco.

“Noi dobbiamo rivederci. Devi prendere l’appuntamento. Lasciamo passare qualche giorno”.

Su quel biglietto ha decine di date con nomi e orari, cancellature, numeri di telefono, tutto fittissimo. Mi chiedo come faccia a capirci qualcosa.

Fissiamo per il mercoledì dopo.

Esco. Nella sala di aspetto c’è una ragazza, di corporatura grossa, il viso triste.

“Buonasera” dico.

“Buonasera. È la prima volta che viene?”.

“Sì. E lei?”.

“Io no. Vengo da sei mesi. Michele è bravissimo. Vedrà che andrà tutto bene”.

“Posso chiederle che cosa le è capitato?”.

“Qualcuno ha voluto il mio male ed è andato da chi lo sa fare”.

Mi siedo vicino a lei, per ascoltarla. Dopo poco Michele la chiama dentro e ci salutiamo. Torno a casa pieno di confusione e non parlo della cosa praticamente con nessuno. A casa, tolta la maglietta, ho sul petto e sul fianco due lividi rossi, appena appena dolorosi. Dopo qualche giorno spariscono da soli, come normalmente accade con un livido.

 

Nella settimana che passa non accade nulla. Sono solo suggestionato. Riguardo “L’esorcista”, “L’esorcismo di Emily Rose”, “Suspiria” e tanti altri gioellini del genere. Francamente, mi fanno la stessa impressione di prima, ma mentre prima avevo la classica eccitazione che ci affianca durante la visione di certe pellicole, adesso ci penso su, ci rifletto e non so che cosa concludere. Neanche adesso che scrivo so che cosa concludere. Forse la conclusione non esiste.

Quando arriva il giorno prendo la macchina e torno fino là. Ricordo che c’era il sole ed era una bella giornata tiepida, nonostante fosse gennaio. Parcheggio e in pochi minuti a piedi sono di nuovo da lui. Suono e mi aprono. Stesso profumo, stessa radio che trasmette il rosario. Non c’è nessuno in sala d’aspetto. Comincio a camminare accanto alle pareti, leggendo i ritagli di giornale e gli ex voto lì appesi. Poi sento un grido acuto, oltre la porta. Ricordo l’immediata voglia di uscire a andarmene che mi piomba addosso, quando sento un secondo grido. Più che grida, dei lamenti. Vengono dall’ufficio di Michele. Mi avvicino. Tecnicamente mi metto ad origliare, in modo anche poco educato. Dall’altro lato dell’uscio, sento la sua voce tranquilla che prega e dei lamenti di donna. Sono lamenti mormorati con grande disperazione e voce acuta. Sia chiaro, nessuna voce soprannaturale. Riesco a distinguere le parole. Anche questa è una preghiera. Dice:

“Lasciami stare… Smettila… Lasciami stare”.

Francamente, quando comprendo le parole, divento un pezzo di ghiaccio. Michele prega. Di nuovo, più chiaramente:

“Mi uccidi se fai così. Lasciami in pace. No! Mi uccidi. Stronzo. Bastardo. Lasciami in pace”.

Ancora lamenti di dolore.

Un grido più forte, stessa voce.

“Figlio di puttana” ben scandito.

Michele prega. La sua voce è come uno sfondo su un lamento fioco e continuo che alterna “Lasciami stare” a “Bastardo, stronzo, figlio di puttana”, ma sono insulti che non farebbero paura a nessuno, che in qualche modo fanno pena, come di uno che pianga e soffra terribilmente.

Dopo cinque minuti, silenzio. Penso di essere piuttosto pallido, ma non ho uno specchio.

Torno sul fondo della sala, mi siedo.

Passa un poco e la porta si apre. Michele saluta cordialmente una donna e una ragazza. La ragazza avrà sui diciotto anni. Sorride, è tranquilla, è anche molto carina. La donna che l’accompagna, forse sua madre, è bianca come una pezza, il viso tirato. Mi alzo per entrare e la ragazza mi saluta cordialmente, mentre sua madre non dice nulla. Capisco che la voce di prima, che diceva “Figlio di puttana” e “Bastardo” era proprio quella della ragazza. Non riesco a crederci. Io e sua madre ci guardiamo e lei capisce che io non riesco a crederci. “Buonasera” dice.

Entro da Michele. Si sta asciugando il viso. Sbadiglia e si scusa. Nella stanza c’è molto caldo. La fontanella getta acqua come l’altra volta.

“Allora, come stai?” chiede.

“Sono un po’ scosso. Impressionato”.

“E perché?”.

“Senza volere ho ascoltato, qui, fuori dalla porta. Sentivo quei lamenti. Che brutta roba”.

“Ah, non devi impressionarti. Quella di prima aveva dentro un diavolo! Si lamentano sempre così come minimo, ma spesso ben peggio. Ti ho detto che tu invece hai una cosa da poco”.

“Sembrava il sonoro di un film dell’orrore. Stanotte faccio gli incubi”.

“Ti ho detto di non aver paura. Stai tranquillo. Che cosa ti importa se esistono queste cose? Gesù ci ha liberati tutti e ci ha dato lo scudo per difenderci e difendere gli altri. Che problema c’è?”.

“È solo che uno… deve un po’ farci l’abitudine”.

“Tu non devi farci l’abitudine. Non sei uno che passa la giornata a fare quello che faccio io”.

“Sempre? Tutti i giorni?”.

“Tutti, tranne la domenica e il sabato, salvo casi urgenti. E la mattina dico il rosario per tutti, alle otto. Se vieni alle otto ci sono tante persone. Tu dici il rosario?”.

“Poco”.

“No poco. Mai”.

“È vero”.

“Dovete pregare e raccomandarvi alla Madonna. Nessuno vi tocca se fate questo. Ogni tanto, se vuoi, vieni qui a dire il Rosario con noi. C’è tanta gioventù. Se no ditelo a casa, nelle case. Formate i gruppi del Rosario e ditelo nelle case. Sapeste quanto bene fate”.

“Continuo a pensare a quello che ho sentito dalla porta”.

“Non pensarci più”.

“Chissà in quanti crederebbero in Dio se venissero a passare un po’ di tempo qui da te”.

“No che non crederebbero. Tu credi più di prima perché hai sentito uno che si lamenta?”.

“In effetti no. Sono solo spaventato”.

“E così sarebbe anche per gli altri. Gesù ce lo insegna, quando quell’uomo, dall’inferno, chiede di tornare anche solo un minuto in vita per mettere in guardia i propri figli. Gesù dice: se non credono nella mia Parola, non crederanno neanche nei morti che risorgono. La fede è tutto. Non cercate la prova, né la prova risolutiva. Non esiste. Dio non la darà mai. Vuole che crediamo in lui come uomini liberi, che lo amiamo liberamente. Quando inizia la fede poi lui la nutre e se lo desideriamo, la accresce così tanto che uno arriva a spostare i monti”.

“Tu fai quello che fai per scelta?”.

“No. Perché devo. Se non lo faccio tutti i mali mi ricadono addosso. Non posso che servire il Signore così. Ci sono così tanti che vengono. Non ti immagini neanche. Io sono qui dentro dalle quattro di notte e prego. Dalle nove del mattino dovete prendere l’appuntamento, ma prima no. Se uno suona alle cinque io apro e può entrare e lo ricevo. Vengono in tantissimi. Però molte volte non si può fare niente. Non hanno bisogno di me. Hanno bisogno di un medico. Allora io li mando dal medico. Vengono molti ammalati di tumore. Tante volte gli dico di andare dal medico, che io non posso fare niente”.

Gli parlo di alcuni amici che sono morti. Gli dico i nomi.

“Devi pregare per loro” dice subito. “Lo sento bene. Prega per loro. Fai dire delle messe a suffragio. Stanno male. Ma se preghi per loro li aiuti a liberarsi dalle catene e a volare in Paradiso. Ecco un’altra cosa che bisogna fare: pregare per i morti. Sempre. Funziona sempre. Dal Paradiso loro aiuteranno te. E prega tanto anche il tuo angelo custode e San Michele. Se preghi il tuo angelo gli dai forza, perché lui sente che desideri essere dalla parte del Signore e allora ti aiuta con tutte le sue forze a rimanerci. Anche qui, il diavolo non può nulla contro gli angeli e San Michele. Magari disturba un po’, ma poi lascia perdere. Troppa luce. Non ci vede”.

Gli chiedo ancora delle persone che odiano e provano invidia, di quelli che vogliono il male degli altri.

“Non bisogna mai desiderare con impegno e costanza il male di qualcuno. C’è gente che si impegna fino a diventare matta nell’invidia. Allora… puff! Il male spesso si realizza davvero, senza bisogno di andare da un mago. Ma sapessi che cosa rischiano questi poveretti. Certo, chi subisce il male soffre, ma è una vittima e prima o poi guarisce e dopo sta anche meglio di prima e spesso ha più fede, molta più fede, lui e la sua famiglia. Guarda come Dio sa trarre il bene anche da una situazione di male! Se no, non lo permetterebbe. Ma chi è causa del male, se non si ravvede, va incontro alla rovina. Noi siamo fatti per fare il bene, non per fare il male. Siamo tutti emanazione della bontà di Dio. La nostra anima è fatta di luce. Chi sceglie il male è masochista e tortura se stesso, lacera la propria anima. Quanto soffrono queste persone, quanto sono depresse. E guai andare dai maghi, dalle fattucchiere, dagli indovini, a farsi fare le carte. Tu ci vai?”.

“No, ma quando avevo 16 anni, per gioco, abbiamo fatto un seduta spiritica. Non ci è saltato fuori nulla”.

“Disgraziati che siete! Mai, mai fare sedute spiritiche o roba simile. Neanche per gioco. Aprite le porte al diavolo. Hai in casa dei tarocchi o roba simile?”.

“Quelli no”.

“Se li hai, buttali via”.

Non l’avevo mai sentito così perentorio.

“Magari per un po’ non succede nulla, ma ti metti su una brutta strada, perché dai delle possibilità al male”.

Ci alziamo e mi sdraio sul lettino, pensando a tutte le cose che mi ha detto. Sarà, ma non mi rendono sereno. Ho come un po’ di angoscia. Come se uno avesse da sempre vissuto una vita che credeva serena e scopre che rischi che aveva sottovalutato sono dietro l’angolo.

Mi appoggia i pollici sulla fronte. Sono piuttosto teso. Non sento nulla di strano. Comincia la preghiera dell’altra volta, le stesse medesime parole. La ascolto via via rilassato. Mentre prega per me, Michele passa con le mani sul mio petto, sul fianco, sulle gambe e preme ovunque. Non sento alcun dolore, se non una tranquillità che aumenta. Penso che sto benissimo. Mi bagna con l’acqua e poi i polsi, le caviglie e la fronte con l’olio. Chiudo gli occhi per un po’, ascoltando. Quando finisce apro gli occhi e lui mi guarda con un bel sorriso.

“Perfetto” dice.

“Cioè non c’è più nulla”.

“Nulla”.

Torniamo a sederci e parliamo ancora per un po’. Alla fine mi accompagna alla porta. Non c’è nessuno fuori. Mi raccomanda ancora di pregare, di non volere il male di nessuno, di non invidiare nessuno, e poi la Messa, la Confessione e l’Eucarestia.

Da allora sono passati quasi tre anni. Michele è ancora là che fa le stesse cose, anche adesso che scrivo. Ho pensato molto a tutte le cose che mi ha detto, molte delle quali non ho riportato. Tante non le ho capite e restano dentro di me, lì a decantare, come informazioni che derivano da un mondo sul cui bordo spesso ci si muove, anche inconsapevolmente. D’altra parte, per tutto ciò che non comprendo, credo comunque che l’albero buono si veda in effetti dai suoi frutti. Nella mia vita ho raccolto buoni frutti dall’incontro con lui e so che vale anche per altri. In questi tre anni sono tornato alcune volte a trovarlo. Mi fa stare bene già il solo saperlo al lavoro.

 



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