Di musica e di senso

Da Crudina
Sentendo suonare quella chitarra si fermò per un istante; quella musica, così rumorosa la fece trasalire in mezzo alla folla, come una stilettata accidentale sopra un piede nudo. Improvvisamente tutto il suono così male accozzato aveva preso un’identità propria: sentiva nettamente la differenza degli strumenti, capiva ogni accordo come cambiava a seconda del momento, e la voce del cantante era sempre più urlata.
Lui non era chitarra graffiante. Melodica a seconda del pezzo, stridente sotto gli accordi di un altro. Era cupo, fosco, arrivava in sordina ma sapeva che c’era. Era sguardo rubato in mezzo alla gente, era imbarazzo malcelato sotto lievi sorrisi ed era dolcezza tra le gambe. Quelle gambe che un po’ cedevano ad una occhiata che si intratteneva nella sua pupilla per un istante in più.
La forma dello strumento era uguale, ma diverso era la percezione che lei sentiva. Le si insinuava sotto pelle, arrivava ovunque malgrado si tappasse le orecchie. Non avrebbe più dovuto percepirlo, invece era sempre li, greve. Mentre, lentamente, il graffio della chitarra sfumava pian piano, pur essendo sempre più forte, non lo sentiva più. Non le scalfiva più la pelle, non intaccava quella piccola ferita sulla mano, non arrivava più, attraverso le sue vene, al cuore pulsante del suo corpo.
Ora era solo quel basso. Come nel vero senso della parola partiva dal suolo, diventava vena safena, e convogliava l’energia, come sangue scarlatto, nella parte più sensibile del suo corpo. Qui si fermava per comporre un coro solista, e per qualche minuto nessuna voce, nessuna chitarra, e nessuna batteria erano più presenti. Solo quello scavare nella più intima parte di lei mediante quel nugolo di accordi e di giri. L’intensità del pezzo aumentava, cresceva sotto quelle mani che pizzicavano le corde dello strumento e, di conseguenza, formavano musica dentro di lei. Era impossibile non sentire, non ascoltare quella composizione sempre più incalzante. Il controllo del proprio corpo stava svanendo sotto i giri di quel basso inebriante, che si faceva sempre più insinuante. La canzone avanzava, così come quelle emozioni che avrebbe potuto ancora per poco contrastare.
Non vi era più volontà, non vi era più controllo né razionalità.
Sarebbe dovuta finire su quel palco, rubargli il basso dalle mani e sfracellarlo contro la cassa. Solo così avrebbe potuto continuare a sentire quel graffio, netto e percepibile. Visibile a tutti e più adatto alla sua sensibilità musicale. Invece continuò ad ascoltare, fino a che quel grumo di sangue non esplose come un aneurisma emotivo. Un grido imponente le uscì dalla bocca, ma in mezzo a quella confusione nessuno potè udire.
Fu solo quello scambio di occhiate, più loquace di milioni di parole o di chitarre in riff perenni.

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