L’altro giorno giorno ho fatto un sogno. Erano gli anni ’90. Una giornata nuvolosa, di quelle grigie ma non troppo, fresche ma non troppo. A spanne era un autunno non troppo inoltrato della pianura padanoveneta, il che equivale suppergiu’ a un finesettembre barra primidiottobre. Quei giorni in cui vai a scuola ma non e’ che ci vai per davvero, perche’ in realta’ e’ appena iniziata e regna lo Svacco. Quei periodi in cui sei a cavallo tra gli amici del tuo paese, con cui hai passato l’ennesima estate, e i compagni di scuola, che non hai sentito per i sopracitati tre mesi (perche’ all’epoca gli sms mica esistevano, a giugno coi compagni di scuola ci si diceva ciao e se ci si sentiva una volta da li’ a settembre era tanto).
Ma non fraintendetemi: nel sogno non era il periodo delle superiori. Era piuttosto il secondo anno di universita’, direi, e quindi l’autunno dei miei 21 anni, e quindi il 1997. Lo so, perche’ lo so e basta. Ero con un amico, sulla via di casa. Guidavo io. Guidavo la mia vecchia, mitica, (in)distruttibile Visa.
E questa e’ la fine del sogno. Tutto qua.
Mi sono svegliato con una strana nostalgia. Non per quelle giornate di autunno, ci mancherebbe. E non per gli amici dell’epoca, o in particolare per l’amico che era in macchina con me: lui fa parte di quel gruppo di persone con cui sono cresciuto. Lui e gli altri ci sono sempre stati e ci sono ancora adesso, quando torno a casa. Magari mi manca di non avere del vero tempo da passare con lui e con gli altri, ora, o un filino di sospiro lo faccio a pensare alle mille cazzate che abbiamo fatto insieme. Ma no, non era quello il motivo della della mia nostalgia.
E la nostalgia non e’ nemmeno per quegli anni, figurarsi: ero nella buca di ingegneria, povero in canna, e soprattutto avevo il cuore ultraspezzato. Se e’ del settembre 1997 che stiamo parlando, ricordo benissimo quei giorni. Il mio primo amore mi aveva mollato da un anno esatto, ma ci eravamo rivisti a fine agosto. Le avevo detto “ti amo ancora”, sebbene avessi un’altra, e lei mi aveva risposto “anch’io”. Ma lei tipo il giorno dopo doveva andare per due settimane da qualche parte a fare la cameriera, non ricordo dove. Ricordo che ho lasciato in fretta e furia la ragazza con cui stavo in quel periodo, dicendole che amavo quell’altra, e ho aspettato il ritorno del mio Ammmore (Maiuscola e tre emme, notare) contando i microsecondi.
Poi, beh un classico: e’ tornata e non si e’ fatta sentire che dopo qualche giorno, mentre io mi struggevo il cuor. E poi mi ha chiamato da un giorno all’altro e mi ha detto “mi dispiace, ho un altro”. E io, ricordo ancora, fermo di sale con la cornetta in mano, fucking speechless come si dice, e col cuore grippato che mi pompava nelle orecchie, incrinato irrimediabilmente per anni. Poi non parliamo del mio bellissimo anno accademico. Lo ricordo come fosse ieri, a gennaio sessione buca, a giugno solo un esame materasso, Ricerca Operativa, 23, e a settembre due esami, Analisi II e Informatica II, entrambi con 19. Anno buttato, media rovinata… ah, l’amour.
Questo per dire che non tornerei a quegli anni neanche morto, o forse ci tornerei solo per il gusto di riviverli come dico io, col senno di poi, col senno di adesso. O anche no.
E dunque, cari lettori: per esclusione la nostalgia non puo’ essere che per la macchina. Ebbene si. Lo so, vi deludo, ma io l’avevo quasi rimosso quell’adorabile catorcio di merda. E’ stato bello salirci sopra di nuovo, anche se solo in sogno.
Era una Citroen Visa del 1981. 600cc di cilindrata, come le vecchie Panda. Quelle macchine bicilindriche che sentivi arrivare per via del loro inconfondibile rumore da lavatrice in centrifuga. Era una di quelle vecchie Citroen, non so se alcuni di voi le ricordano, di quelle con gli ammortizzatori assurdi, che si imbarcavano appena facevi una curva. Comodi per prendere i limitatori di velocita’ a 80km/h, neanche li sentivi; ma in curva, un signor rollio.
La mia Visa era verde metallizzato (quella della foto sopra non e’ la mia, nda), ma non si capiva tanto. Per via della ruggine e dello sporco, perche’ tanto non valeva la pena di lavare una cosa cosi’. Aveva le frecce che non ritornavano in posizione, gli abbaglianti che non restavano in posizione, i tergicristalli che funzionavano in posizione 1 e si bloccavano se li mettevi in posizione 2 (la 3 non c’era). Poi non c’era traccia della spia della riserva, ma quello non era un difetto: era uscita di fabbrica cosi’, francesi di m.
Aveva la portiera lato guidatore con una cerniera arrugginita, per cui dovevi alzarla ogni volta che chiudevi o aprivi, senno’ rimaneva bloccata. Il finestrino incastrato, che crollava e dovevi rialzarlo a mano. E poi aveva la tappezzeria dei sedili che era marcita, o chissa’ cosa, per cui ogni volta che ti sedevi dietro ti restavano pezzi di polvere di tessuto e di gommapiuma sui vestiti. Ed era marcito anche il tubo del sistema di aerazione, per cui ogni volta che accendevi l’aria non-condizionata, l’abitacolo era invaso da una nube di micrometalli e altri componenti chimici probabilmente cancerogeni.
Ah, e ho menzionato il fatto che aveva un buco da qualche parte tra motore e abitacolo lato passeggero? Era bellissimo: ogni volta che pioveva ti trovavi dieci centimetri di acqua in macchina, e il tuo passeggero doveva fare il viaggio a piedi alti, mentre tu dovevi essere attentissimo al beccheggio bastardo della Visa, perche’ se curvavi troppo bruscamente era un attimo creare lo tsunami.
Pero’, che ricordi con la mia Visa. Non potevi nemmeno superare i limiti di velocita’, visto che il tachimetro era rotto e segnava sempre zero. E il tempo volava nella Visa, dato che le lancette dell’orologio si erano fuse tra loro e correvano insieme, alla velocita’ dei minuti. Questo fino al giorno in cui ho provato a ripararlo a pugni, e le lancette sono entrambe crollate, finendo i loro giorni in un eterno sei e mezza.
Bei tempi, quelli. Si fa per dire. Se poi penso che i miei coetanei giapponesi all’epoca potevano portarsi facili giappine alla comodita’ dei love hotel, mentre io dovevo sudarmi cattolicissime italiane con madri tipo mastino, e ridurmi ad andare in camporella in Visa… beh, sapete cosa vi dico? In fondo non li invidio mica i giappi, perche’ vuoi mettere la soddisfazione dopo che ti sei sudato a lacrime e sangue un’italiana, hai evitato i trappoloni e le gabbie morali disseminati da quel vietcong di sua madre, e alla fine sei pure riuscito a convincerla ad andare in camporella, e per di piu’ su una marcissima Visa?
Cioe’, e’ qui che si vede la Stoffa del Campione. Volete mettere la differenza?
…Sigh.