Quando si arriva ai giorni tra aprile e maggio, di solito, nella scuola della ‘povna (ma probabilmente anche in molte altre) è tutto un brulicare. Sarà che (come ricordava Noisette, per esempio, tra altri) è il momento in cui si devono scegliere i nuovi libri di testo? Forse, ma poi, si fa per dire pure questo. Saranno le riunioni per materie tra colleghi (così si definiscono) “dello stesso dipartimento”? Ma neanche a pensarci (ché a scuola della ‘povna, nota assai dolente, bisogna saper piangere in ugro-finnico per ottenere un incontro vero, faccia a faccia, e non un finto verbale). Allora, certo, saranno le ordinarie scadenze, quelle di debiti, ultime spiegazioni, interrogazioni e compiti – tutti da recuperare. In realtà, nemmeno questo troppo. Perché tra aprile e maggio – o, per meglio dire, in quella spicciolata di giorni che passa tra i due ponti – i colleghi della ‘povna sono tutti, chi più chi meno, occupati in un solo e unico conteggio: quello dei giorni di ferie.
“Ormai è finita la scuola!” – grida costernata la Piùcheretta tecnologica – “e devo subito prendermi il prossimo lunedì di pausa. Era quello che mi avevano promesso quando sono rimasta al pomeriggio, e se non mi sbrigo lo perdo, perché l’anno prossimo non me lo fanno recuperare”.
“Capisco, vai da qualche parte?” – domanda serafica la ‘povna (sguardo significativo con Mafalda).
“No, no, ci mancherebbe, costa” – risponde beata quella – “me ne sto a casa così, per riposare”.
Ma questo è solo un esempio. C’è Pane&Maionese che attacca il giorno di ferie al ponte, e poi pure alla 104; Max Gazzè che deve assolutamente andare sopra e sotto (e occupa con questo quasi l’intero tempo del consiglio di classe – anche se così perlomeno non rompe); chi si ricorda il suo curriculum da donatore di sangue. E giù, giù, per tutti i corridoi, è un coro unico: chiedere sostituzioni, firmare moduli, implorare.
Intanto, la ‘povna e Mafalda (che a scuola ci stanno proprio bene, e soprattutto che sono cresciute con la regola, a quanto pare negletta, che i giorni si prendono se e quando servono, e non con la mentalità sindacale del ‘ci sono, e dunque mi spettano, e dunque me li uso a prescindere’) guardano tutto questo operoso via via con occhi immobili (anche se dentro di sé scuotono la testa). Perché per loro (saranno pazze, o forse incapaci di organizzarsi al meglio, o forse solo nate fuori tempo e moda) i giorni di aprile e maggio sono, viceversa, essenziali e preziosissimi. E dunque si appostano vicine ai loro colleghi desiderosi di vacanza come da un robivecchi, in attesa che scartino un giorno, un’ora sola. Perché questi sono i momenti in cui, se possibile, sarebbe opportuno stare in classe ancora e ancora più di sempre. E dunque loro (che sono perfettamente consapevoli di avere, a breve, un sacco di lunghissime vacanze) non hanno proprio nessuna intenzione di perdere nemmeno mezzo minuto per sbaglio; e si gettano affamate su qualunque osso di supplenza sia loro gettato con noncuranza da questi spensieratissimi colleghi.