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Tertuliano Máximo Afonso pagò, disse buonasera a domani e uscì. Chi ti ha messo il nome di Tertuliano sapeva quello che faceva, bofonchiò fra i denti il venditore frustrato. Per il relatore, o narratore, nella più che probabile ipotesi che si preferisca una figura gratificata col sigillo dell’approvazione accademica, la cosa più facile, giunti a questo punto, sarebbe scrivere che il percorso del professore di Storia attraverso la città, fino all’entrata a casa, non ebbe storia. Come una macchina per manipolare il tempo, principalmente nel caso in cui lo scrupolo professionale non abbia permesso l’invenzione di una rissa di strada o di un incidente di traffico con l’unica finalità di colmare i vuoti dell’intreccio, quelle tre parole, Non Ebbe Storia, s’impiegano quando c’è urgenza di passare all’episodio seguente o quando, per esempio, non si sa molto bene cosa fare con i pensieri che il personaggio sta sviluppando per proprio conto, soprattutto se non hanno alcun rapporto con le circostanze esistenziali nel cui quadro presumibilmente si determina e agisce. Orbene, era proprio questa la situazione in cui si trovava il professore e novello amatore di video Tertuliano Máximo Afonso mentre guidava la sua auto. È vero che pensava, e molto, e con intensità, ma i suoi pensieri erano talmente estranei a quel che aveva vissuto nelle ultime ventiquattr’ore che, se avessimo deciso di prenderli in considerazione e li avessimo trasposti in questo racconto, la storia che ci eravamo proposti di narrare avrebbe dovuto essere inevitabilmente sostituita da un’altra. Certo, poteva valerne la pena, o meglio, visto che conosciamo tutto sui pensieri di Tertuliano Máximo Afonso, sappiamo che ne sarebbe valsa la pena, ma questo sarebbe accettare come vani e nulli i duri sforzi compiuti finora, queste quaranta e passa pagine compatte e laboriose già trascorse, e tornare all’inizio, a quell’ironico e insolente primo foglio, sprecando tutto un onesto lavoro realizzato per assumere i rischi di un’avventura, non solo nuova e differente, ma anche altamente pericolosa, che, non abbiamo dubbi, a tanto i pensieri di Tertuliano Máximo Afonso ci trascinerebbero. Teniamoci dunque il passerotto che abbiamo in mano invece della delusione di vederne due che volano via. Inoltre, non c’è tempo per altro.
Jose SaramagoL'uomo duplicatoPag. 43
Tertuliano Máximo Afonso è ormai tornato a casa dalla cena, alla fin fine non ha mangiato pesce, c’era la rana pescatrice, e a lui non piace la rana pescatrice, questo bentonico animale marino che vive in fondali arenosi o fangosi, dal litorale fino ai mille metri di profondità, una bestia dal capoccione enorme, schiacciato e armato di denti fortissimi, di due metri di lunghezza e più di quaranta chili di peso, insomma, un animale poco gradevole da vedere e che il palato, il naso e lo stomaco di Tertuliano Máximo Afonso non sono mai riusciti a sopportare. Tutte queste informazioni le sta raccogliendo proprio in questo momento in un’enciclopedìa, mosso infine dalla curiosità di sapere qualche cosa circa un animale che fin dal primo giorno ha detestato. Era una curiosità di lunga data, di tanto tempo fa, ma solo oggi, inspiegabilmente, le stava dando completa soddisfazione. Inspiegabilmente, dicevamo, eppure dovremmo saperlo che non è così, dovremmo sapere che non c’è alcuna spiegazione logica, oggettiva, per il fatto che Tertuliano Màximo Afonso abbia passato anni e anni senza conoscere della rana pescatrice altro che l’aspetto, il sapore e la consistenza dei pezzi che gli mettevano nel piatto, e tutt’a un tratto, a un certo punto di un certo giorno, come se non avesse niente di più urgente da fare, ecco cheapre l’enciclopedìa e s’informa. Strano rapporto è quello che abbiamo con le parole. Ne impariamo da piccoli un certo numero, nel corso dell’esistenza, ne raccogliamo altre che ci arrivano dall’istruzione, dalla conversazione, dal rapporto con i libri, eppure, a paragone, sono pochissime quelle sui cui significati, accezioni e sensi non avremmo alcun dubbio se un giorno ci domandassero seriamente se ne abbiamo. così affermiamo e neghiamo, così convinciamo e siamo convinti, così argomentiamo, deduciamo e concludiamo, discorrendo impavidi alla superficie di concetti sui quali non solo abbiamo idee molto vaghe, e, malgrado la falsa sicurezza che in genere ostentiamo quando tastiamo il cammino in mezzo alla nebulosità verbale, meglio o peggio continuiamo a capirci, e a volte persino ad incontrarci. Se avremo tempo e, impaziente, ci stuzzicherà la curiosità, finiremo sempre per sapere cos’è la rana pescatrice. D’ora in poi, quando il cameriere del ristorante tornerà a suggerirgli l’inelegante lofideo, il professore di Storia saprà rispondergli, Cosa, quell’orrendo bentonico che vive in fondali arenosi e fangosi, e soggiungerà, definitivo, Neanche per sogno. La responsabilità di questa fastidiosa digressione piscìcola e linguistica ce l’ha tutta Tertuliano Máximo Afonso perché ha tardato tanto a mettere Un uomo come tanti nel lettore, come se stesse lì, impuntato alle falde di una montagna, calcolando le forze di cui avrà bisogno per arrivare in vetta. Proprio come sembra si dica della natura, anche la narrativa ha orrore del vuoto, e perciò, visto che Tertuliano Máximo Afonso, in questo intervallo, non ha fatto nulla che valesse la pena di riferire, non abbiamo potuto far altro che improvvisare una zeppa che più o meno adattasse il tempo alla situazione. Ora che si è deciso a tirar fuori dalla scatola la cassetta e l’ha introdotta nel lettore, possiamo metterci tranquilli.
Jose SaramagoL'uomo duplicatoPag. 74
Scusi, devo esserle sembrato sconveniente, ma non avevo intenzione di ferirla, Suppongo di no, ha soltanto confuso il senso delle parole, succede sempre, quel che vale sono i filtri che con il tempo e la continuità nell’ascoltare si vanno tessendo in noi, Che sono questi filtri, Sono come una sorta di colini della voce, le parole, quando passano, lasciano sempre dei fondi, per sapere cosa in effettivo levano comunicarci bisogna analizzare questi fondi minuziosamente, Sembra un processo complicato, Al contrario, le operazioni necessarie sono istantanee, come in un computer, ma non si accalcano mai l’una sull’altra, tutto procede nel giusto ordine, per benino, è questione di allenamento, A meno che non sia piuttosto un dono naturale, come l’avere un orecchio assoluto, In questo caso non c’è bisogno di tanto, basta saper udire la parola, l’acutezza sta altrove, ma non pensi che siano tutte rose e fiori a volte, e parlo per me, agli altri non so cosa accada, arrivo a casa ed è come se i miei filtri fossero otturati, è un peccato che le docce che facciamo fuori non ci possano ripulire dentro. Sto giungendo alla conclusione che il passerotto non canta come un canarino, ma come un usignolo, Mio Dio, quanti fondi ci sono, esclamò la donna, Mi piacerebbe rivederla, Immagino di sì, il mio filtro me lo ha appena detto, Sto parlando sul serio, Ma non con serietà, Non conosco neppure il suo nome, Perché lo vuole, Non si irriti, di solito ci si presenta. Quando esiste un motivo, E in questo caso non c’è, domandò Antonio Claro, Sinceramente, non lo vedo, Immagini che abbia bisogno di nuovo del suo aiuto, Semplice, chieda al mio capo di chiamare quell’impiegata che l’ha aiutata questa volta, anche se molto probabilmente verrebbe a riceverla lamia collega che è ora in ferie, Allora non avrò più sue notizie, Rispetterò quanto promesso, riceverà la lettera della persona che ha voluto conoscere il suo indirizzo, Nient’altro, Nient’altro, rispose la donna. Antonio Claro andò a ringraziare il vecchio compagno, chiacchierarono un po’ e, alla fine, lui domandò, Come si chiama l’impiegata che mi ha ricevuto? Maria, perché? Veramente, pensandoci bene, per niente, non sono venuto a sapere niente più di quanto già non sapessi, E che hai saputo? NienteJose SaramagoL'uomo duplicatoPag. 214
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