Che dire di Machine Girl?
Intanto, che per una volta la recensione non sarà affatto ironica. Il film è proprio così, ed è chiaro che volutamente non si prenda affatto sul serio. Immaginate una parodia degli anime ultra-violenti alla Hokuto no Ken e Berserk, fatta con gli attori veri, e cominciate ad avvicinarvi un pochino.
Ad ogni modo, se il sangue vi fa impressione, lasciate perdere. Sul serio. Anche questo post, che ci sono delle scene tratte dal film.
Il primo problema è un limite mio: dovete sapere che Pontomedusa non è affatto fisionomista. Quando ho visto L’avvocato del diavolo, sono rimasta convinta che la moglie di Keanu Reeves e l’avvocatessa porcona fossero interpretate dalla stessa attrice. Ne avevo addirittura dedotto tutto un sottotesto di bene/male, lato chiaro/lato oscuro…poi, anni dopo, mi hanno svelato che l’avvocatessa è Connie Nielsen, non Charlize Theron, e ci sono rimasta demmérda.
Potete quindi capire quanto per me non sia facile seguire un film in cui gli attori sono tutti giapponesi, tutti coi capelli neri e spesso pure vestiti uguali, dato che in molte scene i personaggi indossano la divisa scolastica.
Detto questo, cominciamo.
Il film comincia in medias res, con la Machine Girl che ha già una mitragliatrice al posto del braccio amputato, che fa fuori un gruppo di bulletti, con profusione di estremità mozzate e sangue che sprizza con la stessa pressione di un’eruzione vulcanica.
Questo perché l’utente medio del film non può mica aspettare che finisca tutto l’antefatto prima di vedere un po’ di sana viulènza! Quindi prima siparietto splatter, e poi flashback per capire come ci siamo arrivati.
Ami è una giovane studentessa ancora in possesso di entrambe le braccia e di un fratello minore un po’ sfigato, che infatti si fa angariare dai bulli.
I due ragazzi sono orfani, e Ami si prende cura del fratellino Yu come una madre. Quando Ami lo vede con un occhio nero, Yu si vergogna di dire che è stato menato, dileggiato e ricattato e dice di avere fatto a botte e di averle anche un po’ date.
Ami gli ricorda che con la violenza non si ottiene niente. Meno male che le successive vicende del film le faranno capire la fallacia di questa convinzione e le insegneranno che fare a pezzi la gente è bello.
Ma andiamo con ordine.
Il capo dei bulletti, Sho, è figlio di una specie di ninja mafioso, e per sottolineare questo suo status di privilegiato porta, sopra l’uniforme di scuola, un costoso ma sobrio e raffinato giubbottino di leopardo con bordo di pelliccia.
I suoi sgherri inseguono Yu e il suo amico Takeshi. Ami li vede e cerca di raggiungerli, ma nella fretta urta una lattina di proprietà di un gruppetto di avanzi di galera e, anziché continuare a correre, da brava giapponese si ferma per fare l’inchino e scusarsi.
Gli energumeni ne approfittano per tentare di usarle violenza; Ami li gonfia di botte tutti e quattro senza problemi, ma il piccolo contrattempo la rallenta, e arriva giusto in tempo per trovare Yu e Takeshi spiccicati al suolo, spinti giù dalla Banda del Bullo.
Segue grande momento mariomérolo con Ami che si dispera tenendo tra le braccia il corpo del fratello.
La morte dei due ragazzi viene classificata come suicidio. Ami crede siano stati invece assassinati, ma nessuno le dà retta, nemmeno i genitori di Takeshi, anche perché i genitori di Ami e Yu si sono suicidati dopo essere stati falsamente accusati di omicidio, e questo comprensibilmente non fa bene alla reputazione dei ragazzi.
Ami allora decide di fare tutto da sola: trova fra gli appunti del fratello la lista dei ragazzi che lo tormentavano e va trulla trulla a casa del primo, ad accusarlo di omicidio.
Qua fra l’altro la mia confusione aumenta perché, a causa della Sindrome dell’Invecchiamento della Donna Giapponese, le madri dei ragazzi sembrano della stessa identica età di Ami, e quindi per capire che sono mamme e non compagne di scuola mi ci vuole una certa concentrazione.
Comunque, i genitori di Bullo Uno sono degli assassini psicopatici tali e quali al figlio, e di fronte alle accuse di Ami cercano di ucciderla, ma riescono solo a friggerle il braccio, che si trasforma in un enorme tempura.
No, davvero.
Qualche ora dopo Ami, che in qualche modo è riuscita a liberarsi della pastella (e il braccio sotto è ancora sanissimo, nemmeno una minuscola scottatura), torna e massacra Bullo Uno e sua madre, non prima di essersi fatta dire il nome del capo della Banda del Bullo. Il padre, invece, lo schernisce ricoprendolo col sangue del figlio che schizza dal collo senza più testa (la scena è bellissima, il taglio è pulito e poi a comando comincia a uscire il sangue, come se Yu avesse aperto un rubinetto) ma, incomprensibilmente, non lo uccide (e mal gliene incoglierà).
Si reca dunque a casa di Sho, dove la famiglia è impegnata in una delle loro comuni occupazioni, ossia tagliare le dita a un cuoco che per sbaglio ha rovesciato dei noodles addosso al rampollo e fargliele mangiare a mo’ di sushi. Quando si dice “finger food”.
No, davvero.
In un tripudio di stelline ninja e coltelli, Ami quasi riesce a uccidere Sho, ma viene fermata dal padre di lui e catturata.
Viene incatenata al soffitto e menata di mazzate, poi il padre di Sho tira fuori il colpo da maestro e le taglia le dita della mano sinistra. La moglie, però, è indispettita che ci si accontenti di così poco, quindi, mentre il marito sta uscendo con la katana ancora in mano, gli fa lo sgambetto: la spada gli sfugge di mano e trancia il braccio della sfortunata Ami (no, davvero).
Ami riesce a fuggire, approfittando di uno degli sgherri del padre di Sho che le si avvicina un po’ troppo nel tentativo di usarle violenza, e riesce ad arrivare fino al giardino della famiglia di Takeshi prima di collassare.
Ora, il braccio aveva smesso di sanguinare dalla scena prima (anche perché a quest’ora Ami sarebbe ben morta dissanguata), eppure a quanto pare la ferita era sempre aperta, perché il padre di Takeshi sente il bisogno di dare due punti al moncherino col kit del punto croce (credo abbia fatto il corso di primo soccorso con Lindsay Lohan).
Il fatto che Ami abbia perso un braccio fa capire ai due gonzi genitori addolorati che forse forse la ragazza aveva ragione, e decidono di aiutarla a vendicare Yu e Takeshi.
La madre la allena con tecniche da Tana delle Tigri, e il padre le costruisce una protesi mitragliatrice: solo che, cinque minuti prima che sia pronta, arrivano i ninja mafiosi per ammazzare tutti.
Ami e la madre di Takeshi tengono impegnati i ninja assassini mentre il padre finisce il braccio artificiale. Riesce a passarlo a Ami che finalmente sconfigge i ninja, ma non riesce a salvare il padre di Takeshi, che muore affettato da una miriade di stelline ninja, stile Scuole di Nanto.
Ami si nasconde in una casa con la madre di Takeshi, Miki, che è ferita, e uno degli sgherri mafiosi (non ninja), che ha catturato.
La ferita di Miki è infetta, ma lei rifiuta di curarsi per potere seguire Ami e avere così la sua vendetta.
Frattanto, il padre di Sho riunisce i genitori di tutti i cattivoni uccisi da Ami (incluso il padre di Bullo Uno) e li invita a vendicarsi ammazzando la ragazza.
Ami e Miki torturano Sgherro-Non-Ninja piantandogli chiodi in faccia finché non confessa dove si trova la famiglia di Sho, e lo obbligano a portarle lì.
Non lo avrei mai detto per un film così, ma Miki fa presente a Ami che avrà bisogno di munizioni di riserva, e le consegna dei proiettili così potenti che potrebbero distruggere la protesi-mitragliatrice.
Intanto, il padre di Sho sfodera la sua arma segreta: i genitori dei cattivoni uccisi! Anche loro sono guidati dalla stessa cosa che è la forza di Ami e Miki, e cioè il desiderio di vendicare i loro cari! Dalle facce da pesce lesso delle nostre due eroine, che vorrebbero essere sguardi intensi, capiamo che questo li rende nemici temibili.
In un modo o nell’altro riescono a sconfiggere i Genitori Incazzati, ma Ami finisce le munizioni proprio quando viene attaccata dal padre di Sho! Miki riesce a salvarla, ma nella lotta perde una gamba.
Ami la lascia per inseguire il padre di Sho e riesce a ucciderlo, ma per sparargli con le Munizioni Putentissime distrugge la protesi. Intanto, Miki viene aggredita dal padre di Bullo Uno, che se lo erano dimenticato vivo, ma riesce a infilarsi una protesi-motosega che il marito aveva preparato per Ami in alternativa alla mitragliatrice, e sconfigge l’avversario prima di morire a sua volta per dissanguamento.
Ami, a cui nella lotta si è strappata la camicetta per un po’ di sano fanservice, dà l’estremo saluto a Miki e recupera la protesi-motosega, pronta a terminare la sua vendetta.
Trova Sho che però, da bravo codardo quale è, si fa scudo con tre Ragazzini Anonimi mai visti prima.
Ami affronta allora la madre di lui che, per l’occasione, ha indossato la sua arma più temibile: il famigerato reggiseno trapano.
No, davvero.
Da principio il reggiseno trapano ha la meglio su Ami, e uno dei Ragazzini Anonimi, preso dal terrore, si fa pipì addosso. Io pensavo fosse l’ennesima scena estrema gratuita, invece no! Ami riesce a spingere la madre di Sho nella pozza di pipì, così la parte elettrica del reggiseno va in corto e la stregaccia rimane folgorata.
Voglio dire, l’ultimo film-cazzata di serie Z giapponese ha una scrittura più rigorosa di tanti blockbuster hollywoodiani.
Nel marasma che ne segue, Ami riesce a uccidere anche Sho e a liberare i Ragazzini Anonimi. Chiede loro di andare alla polizia a denunciare quello che è successo, poi si appresta a suicidarsi… ma un rumore dietro un cespuglio la fa desistere, e si mette subito in posizione d’attacco.
Il suo destino è la lotta! Fuck yeah!