“Dial M for Murder”: Hitchcock e quel delitto (quasi) perfetto in 3D…

Creato il 14 ottobre 2013 da Onesto_e_spietato @OnestoeSpietato

Correva l’anno 1953 e Alfred Hitchcock definì il 3D come “a nine-day wonder”, ovvero un “fuoco di paglia”. Già sessant’anni fa il maestro del brivido aveva intuito come il 3D sarebbe stata una moda passeggera, che, se non sfruttata con una forte idea in testa, si sarebbe presto eclissata. Nel giro di pochi mesi Hollywood ne fece un uso eccessivo, grossolano, improntato al commerciale (sembra di vedere la situazione attuale!). Ma Hitchcock accettò la sfida di Jack Warner, dell’omonima major, e girò Dial M for Murder (Il delitto perfetto) in tre dimensioni. La mano e la mente del grande autore si fecero subito sentire, tanto che anche oggi Dial M for Murder in 3D vale molto di più di Avatar e compagnia bella. La geniale intuizione del panciuto maestro britannico fu d’applicare la terza dimensione non in uscita dallo schermo (come accade oggi), ma dentro l’immagine, creando una vera profondità interna alla scena. E’ così che molte sequenze vedono l’intromissione di ostacoli come la lampada sul tavolo o la sponda del divano che creano spazio, quindi “spessore” rispetto ai personaggi che si stagliano oltre essi. Una terza dimensione allo stesso tempo più “naturale” e ragionata, che però non rifugge dall’affiancarsi ad una componente più d’impatto generata da stranianti riprese dal basso verso l’alto, come durante la conversazione tra il mandante Tony Wendice (Ray Milland) e il futuro assassino C.A. Swann (Anthony Dawson).

Una terza dimensione pregevole se la pensiamo applicata ad un kammerspiel d’origine teatrale (il dramma nasce per le assi del palcoscenico dalla penna di Frederick Knott) che vive di una ristretta varietà di inquadrature, pregne però di palpabile suspense partorita dal solo potere delle parole.

Certamente un 3D non perfetto, proprio come il delitto più famoso del cinema, ma caratterizzato da un’idea che spesso manca ai 3D di oggi e dalla quale i registi degli anni Duemila dovrebbero ripartire per dare senso e significato ad un “espediente” che sia arte e non solo botteghino.


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