
E i medici arrivarono subito, uno dopo l’altro: arrivò, cioè, un Corvo, una Civetta e un Grillo-parlante.
- Vorrei sapere da lor signori, – disse la Fata, rivolgendosi ai tre medici riuniti intorno al letto di Pinocchio, – vorrei sapere da lor signori se questo disgraziato burattino sia morto o vivo!…
A quest’invito, il Corvo, facendosi avanti per il primo, tastò il polso a Pinocchio: poi gli tastò il naso, poi il dito mignolo dei piedi: e quand’ebbe tastato ben bene, pronunziò solennemente queste parole:
- A mio credere il burattino è bell’e morto: ma se per disgrazia non fosse morto, allora sarebbe indizio sicuro che è sempre vivo!
- Mi dispiace, – disse la Civetta, – di dover contraddire il Corvo, mio illustre amico e collega: per me, invece, il burattino è sempre vivo; ma se per disgrazia non fosse vivo, allora sarebbe segno che è morto davvero! (Collodi -Pinocchio)
Altri discorsi ascoltati in ospedale. Una ospite in visita al malato accanto al letto di mio padre, voce squillante di chi è intenzionata a portare allegria a tutti i costi, si rivolge proprio a me:
- Le dispiace se apro la finestra perché qua si muore di caldo – dice senza dare alla richiesta l’intonazione di una domanda. Le rispondo con uno sguardo intenso che dura qualche secondo ma visto che non capisce ci aggiungo delle parole per essere più chiara.
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Sì mi dispiace, mio padre è sfebbrato solo da qualche giorno e mi sembra che quanto meno dovrebbe chiedere il parere oltre agli altri ammalati anche alle infermiere perché qui sono tutti malati e non è che si possano aprire le finestre a proprio piacimento -
Allora continua a lamentarsi col suo di padre, del fatto che non si senta l’aria condizionata e che dovrebbero tenere stanze più fresche, ma suo padre, anche lui degente, ha ben poca voglia di svagarsi in puerili discussioni, quindi lei attacca bottone con il malato del letto di fronte per fargli subito gli auguri di pronta guarigione e buon ritorno a casa.
- ma veramente io son qua che ho un tumore – e che non avesse avuto la mano felice nello scegliere l’argomento della conversazione lo capisce da sola, basta vedere l’espressione sgomenta che le appare sul volto anche se il sorriso di plastica che sfoggia resta inalterato.
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oh vedrà che andrà tutto bene -
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veramente dicono che si sta estendendo per tutto il corpo e ormai non mi operano più. -
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oh forse è meglio non farsi operare, vedrà che andrà tutto bene -
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non mangio e i medici mi sgridano, anche i miei figli. Lo so che dovrei, ma non ho fame. -
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sì, sì bisogna mangiare, così si rimette in forze, pazienza e andrà tutto bene, auguri… -
Lui si volta nel letto dall’altra parte stizzito, lei allora decisa di far qualcosa per suo papà e scende a comprargli bibite e macedonia, e al ritorno si ferma a chiedere alle infermiere quando torna nel menù quella pasta gramigna col sugo che suo papà aveva mangiato con gusto qualche giorno prima. Invece di risponderle le infermiere la intimano di gettare via quei generi alimentari incompatibili con il regime dietetico imposto dai medici; se il paziente ha il pranzo in bianco, è perché il medico ritiene necessario debba mangiare in bianco. Altro ciaramellio vivace con padre che si capisce dall’espressione speciale di stanchezza cortese, vorrebbe soltanto silenzio per poter dormire e poi alla fine scontenta se ne va. Dopo tre mesi e mezzo comincio a sentirmi di casa là dentro, per senso di empatia cerco di fare più il paziente che l’ospite, come stato d’animo intendo, per disturbare di meno con la mia presenza estranea, per cercare di comprendere di più.
È come varcare in un’altra società (quella dei malati gravi) che non ha più a che fare con i piani e calcoli, il modo di ragionare che costituiscono tutto l’interesse nella società dei sani. Cambia il significato del tempo, cambiano i desideri e non ci si appaga più con le notizie che arrivano “da fuori”; non interessano i risultati delle partite, tanto meno se è bel tempo o piove. Il contesto è cambiato, le prospettive, gli interessi, i sentimenti, sono cambiate le speranze, le aspettative per non parlare dei ritmi delle giornate. Il fuori sanno che è stato solo transitorio, si trovano il quella disposizione d’animo in cui si è compreso di non essere autosufficienti e di non avere la vita nelle proprie mani ma neanche di poterla riporre in quella dei medici che ormai miracoli non possono fare. Sembrano scorbutici, in realtà quello che sopportano in silenzio con la loro situazione è tanto, è vertiginoso, e quando si sente nella stanza un ospite che si lamenta in continuazione perché fa caldo e suda, neanche ci badano, tanto è una sciocchezza, tanto è distante. “Son morto!” è la prima cosa che mi ha detto tenendomi per il polso, mio papà oggi… E a stare lì tutto questo ai pazienti è ben chiaro. “Io sono qui!” ho risposto perché a dire “no sei vivo” mi pareva di imbrogliarlo.
A questo punto si sentì nella camera un suono soffocato di pianti e di singhiozzi. Figuratevi come rimasero tutti, allorché sollevati un poco i lenzuoli, si accorsero che quello che piangeva e singhiozzava era Pinocchio.
- Quando il morto piange, è segno che è in via di guarigione, – disse solennemente il Corvo.
- Mi duole di contraddire il mio illustre amico e collega, – soggiunse la Civetta, – ma per me, quando il morto piange è segno che gli dispiace a morire. (Collodi – Pinocchio)
