Dialogo tra Cézanne, Morandi e Mondrian

Creato il 22 giugno 2010 da Fabry2010

di Raffaella Terribile

Le nature morte, più di qualsiasi altra opera, rivelano l’evoluzione nella concezione cézanniana dello spazio, la negazione dei valori prospettici tradizionali e l’importanza riconosciuta alla forma geometrica, elementi che saranno alla base della successiva rivoluzione operata dal cubismo con la “quarta dimensione”. L’artista desidera ricreare drasticamente una nuova immagine del mondo.
L’equilibrio da lui creato all’interno del quadro scaturisce dall’unione e dal contrasto di linee verticali, orizzontali e oblique, che si intersecano e si spezzano. Particolare attenzione richiede la scelta delle forme, dei volumi da rappresentare. La mela e l’arancia, frutti prediletti perché sferici e quindi più spesso costanti nella forma, sono raffigurate da Cézanne come corpi in espansione, dipinti dal bordo verso il centro; la sfericità consente al colore di espandersi sugli oggetti circostanti e di accogliere, a sua volta, i riflessi di ciò che sta intorno. La forma della brocca, geometricamente semplificata, rallenta il passaggio della luce e implica una pausa, una sospensione momentanea nel ritmo interno del quadro. Il suo colore, prevalentemente bianco come i piatti in primo piano, media il passaggio dalla zona sinistra più cupa e più affollata, a quella destra, meno ingombra, più serena. Fondamentali anche i rapporti di affinità e, ancora, contrasto tra gli altri colori, che si influenzano a vicenda, scambiandosi reciproci riflessi, comunicando tra loro e creando in questo modo la struttura invisibile, ma, al tempo stesso, forte e pregnante del dipinto. Importante il valore dell’azzurro scuro della parete, che richiama i cieli dei suoi paesaggi. L’azzurro intenso assume un ruolo decisivo nella pittura di Cézanne, riequilibra gli altri valori cromatici presenti nel quadro, alleggerisce l’atmosfera della composizione, rendendola più serena. Egli stesso scrisse nel 1904: ”[…]una somma sufficiente di azzurro per far sentire l’aria[…]”.

In questa natura morta dipinta da Morandi nel 1916 è evidente la distruzione della prospettiva. La profondità prospettica è prima suggerita e poi è annullata facendo degli oggetti sagome sospese e livellando i piani colorati della tavola e della parete e quelli degli oggetti. La profondità non esiste più come vuoto capiente in cui siano situate le forme solide degli oggetti: c’è un tessuto spaziale, continuo come un velo teso, sul cui piano si profilano, quasi per trasparenza, glli oggetti, la tavola, le pareti.
Secondo Morandi la prospettiva definiva in termini di valori i principia individuationis con cui l’artista dava ordine e chiarezza alla realtà al fine di rappresentarla: definiva la linea come limite o contorno delle cose, il volume come consistenza fisica degli oggetti, il tono come tinta locale modificata dalla distanza e dalla luce. Morandi non nega e non accetta a priori questi criteri formali, ma ragiona con logica perfetta.
Nel quadro si ritrovano linee, volumi e toni ma con un significato completamente nuovo e diverso perché non costituiscono più uno spazio teorico, ma uno spazio concreto di cui si vede perfino la sostanza fisica, la maggiore e minore densità della materia.
La linea non è il limite delle cose ma il confine e la mediazione tra valori tonali comunicanti: il volume non è rilievo ottenuto col chiaroscuro ma calibrata distanza tra piani colorati; il tono non è incidenza di luce ma ragguaglio o proporzione di quantità e qualità.
La pittura di Morandi è la storia di una continua permutazione del valore ma nel senzo di una crescita qualitativa; la sua tematica è costante, gli oggetti entro cui avvengono le mutazioni dei valori sono sempre gli stessi.
Aveva bisogno che l’oggetto non facesse problema e non richiamasse e localizzasse sul proprio essere l’interesse conoscitivo che mirava al suo essere nello spazio.

“Cosa voglio esprimere con la mia opera? Niente di diverso da quello che ogni artista cerca: raggiungere l’armonia tramite l’equilibrio dei rapporti fra linee, colori e superfici. Solo in modo più nitido e più forte.”
La pittura di Mondrian, come fu definita da Argan, può intendersi come una “Ethica ordine geometrico demonstrata”: come Spinoza, l’artista pensa che nulla si conosce senza percezione, ma che l’essenza delle cose non si conosce nella percezione, bensì con una riflessione sulla percezione distaccata dalla percezione: una riflessione in cui la mente opera da sola, con i soli mezzi di cui la fornisce la sua costituzione, uguale per tutti e pertanto operante da “nozioni comuni”. Tutta la pittura di Mondrian si basa su questo, operazione su “nozioni comuni”, cioè sugli “elementari” della linea, del piano, dei colori fondamentali.
Definisce una griglia di coordinate, a formare una serie di riquadri di grandezze diverse con campiture di colori elementari, dove predomina il bianco (la luce) e si presenta il nero (la non luce). Ciascuno di essi dipende da una situazione percettiva (quindi sensoriale ed emotiva) diversa: il risultato, in termini di valori, è sempre lo stesso. Ogni esperienza della realtà, per quanto diversa, deve alla fine rivelare la struttura costante della coscienza.

Lo spazio è la realtà come viene posta ed esperita dalla coscienza, e la coscienza è tale solo se comprende ed unifica l’oggetto e il soggetto dell’esperienza: ciò potrebbe essere definito il “postulato di Cézanne”. Dietro al velo multiforme della realtà fenomenica, esperita dai nostri sensi, res extensa, la mente deve cogliere il significato universale, l’archetipo, quella res cogitans che unifica il tutto e il tutto contiene, unità di base che l’artista ravvisa nelle forme geometriche elementari. Da questo postulato muovono, per vie parallele e con direzione opposta, Mondrian e Morandi.
Mondrian definisce lo spazio partendo dalle cose: solo quando le cose scompaiono risolvendosi nello schema geometrico, nella lirica della semplificazione pura, nel quadro “c’è” lo spazio, realtà esperita dalla coscienza e recepita al suo interno in una sostanziiale identificazione soggetto-oggetto, coscienza-realtà.
Morandi definisce lo spazio partendo dal concetto di spazio: solo quando il concetto – lo spazio geometrico che lo rappresenta – scompare risolvendosi negli oggetti si può affermare che “c’è” lo spazio: non più come concetto astratto ma come realtà vissuta, esperita, come esistenza.
Mondrian parte dallo spazio empirico, l’ambiente, per arrivare allo spazio teorico: la forma pura geometrica; Morandi parte dallo spazio teorico per giungere a quello concreto, l’unità ambientale tra cosa e spazio.
Morandi tiene il capo del filo della tradizione di una secolare cultura figurativa, quella italiana, che parte dal concetto di spazio o dalla concezione unitaria del reale, di matrice rinascimentale, per ricavarne per deduzione la conoscenza delle cose particolari. Mondrian rappresenta l’esito ultimo di quella cultura figurativa fiammingo-olandese che, partendo dalle cose particolari, osservate in maniera quasi lenticolare, ne deduce l’insieme dalla loro coesistenza e relazione.
Per paradosso, nella pittura contemporanea Mondrian è Paolo Uccello, Morandi Vermeer: ragionando secondo il principio delle culture nazionali gli artisti si sono scambiati le parti. Ma proprio per questo Morandi e Mondrian sono i due artisti più concretamente, storicamente europei del nostro presente.

[Foto: Natura morta con fruttiere - 1916 - di Giorgio Morandi.]



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