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Diamoci un futuro gentile

Creato il 06 giugno 2011 da Albertocapece

Diamoci un futuro gentileAnna Lombroso per il Simplicissimus

Molti anni fa sono stata per un po’ di giorni nelle isole Kerkennah, isole piatte, pacifiche, domestiche, circondate da secche: si cammina per ore sulla risacca circondati da dinamici polipi, gli stessi che poi si vedono trucemente appesi a seccare al sole sui fili tirati nei pescherecci. Isolette povere, dolci il cui mare intorno è diventato un cimitero liquido per centinaia di corpi, dei quali forse non sapremo mai il numero, perché a quei sommersi non è dovuta nemmeno una contabilità precisa.

Ieri il presidente Napoletano ha invitato gli italiani e i popoli europei a reagire “moralmente e politicamente” di fronte ad un’assuefazione che pervade l’opinione pubblica alle notizie di tragedie come quelle di Kerkennah. Per il capo dello Stato l’indifferenza è proprio “la soglia che non può e non deve essere varcata” e “occorre allora scongiurare il rischio di ogni scivolamento nell’indifferenza, occorre reagire con forza, moralmente e politicamente, all’indifferenza: oggi, e in concreto, rispetto all’odissea dei profughi africani in Libia, o di quella parte di essi che cerca di raggiungere le coste siciliane come porta della ricca, e – domanda – accogliente?, Europa”.

È irrituale e confortante che un capo di Stato europeo, visto lo spirito del tempo, parli di responsabilità anziché di respingimento, di solidarietà anziché di sicurezza, e di compassione, nella sua accezione vera – patire insieme a chi soffre – anziché di carità o di difesa di privilegi ereditati o acquisiti.

Ed oggi Ilvo Diamanti, come altri in questi giorni incantati dal voto amministrativo, che sembra avere ammansito perfino i più cinici e disincantati, parla di una “svolta mite”, sostenendo che riflette una domanda di normalità, interpretata da leader politici normali, poco mediatici, che non gridano e non urlano, non insultano e non minacciano. E che sono stati premiati da una cittadinanza che vuole uscire in maniera incruenta dall’anomalia.

Sono voci consolatorie. Sulla mitezza, qualità riconosciuta dagli storici a questa nazione giovane e irrisolta, mi sono interrogata tante volte. Ma temo che, come spesso succede con le risorse naturali, si sia in qualche modo esaurita. Affondata nella diffidenza nella paura, nel sospetto, nella diffidenza, nell’egoismo , nell’erosione di vincoli di solidarietà e coesione sociale promossa con singolare efficace da una classe politica al governo inefficiente su ogni fronte salvo quello del profitto personale, degli interessi privati, della divisione, della sopraffazione, dell’autoritarismo, del malaffare e della lesione di diritti e libertà. E quella mitezza sarebbe stata augurabile forse ma estemporanea in un mondo ridotto a un contenitore pieno fino all’orlo di un timore, di una disperazione, di cupe afflizioni di fame e bisogno e di sinistre premonizioni temute per la loro impalpabile e indistinta non-specificità, tutte pulsioni erratiche alla ricerca disperata di sfoghi.

Ed è quanto mai attuale il monito di Napolitano: la scarsità di nuove “cause” e il cimitero di vecchie cause, per dirla con Bauman, ci rende più solitari, più chiusi e indifferenti. Agli annegati di Kerkennah, ai palestinesi contagiati dai venti di libertà che non contagiano gli israeliani, i più europei del medio oriente, e pare nemmeno noi che dall’Europa abbiamo mutuato la sussiegosa difesa di interessi, la tutela cinica di privilegi, il primato dei commerci sulla circolazione di diritti, l’egemonia della finanza sull’investimento in democrazia.

Ecco, c’è da sperare che la mitezza che con indulgenza Diamanti intravede non sia arrendevolezza,  o addirittura resa, c’è da sperare che anziché fingere che stiamo esportando libertà e aiuti umanitari, cominciassimo ad importare collera legittima, ribellione sia pure illuminata e autogovernata, volontà di libertà e riappropriazione della responsabilità e del senso comune, del ragionare insieme, del rispettarsi, cittadini che ragionano insieme intorno a intenti condivisi. Ci aspetta un grande lavoro: ricostituire un patrimonio morale e ideale, di speranze, utopie, emozioni, passioni, gentilezza. “Beffato il mio amore, congedata la mia fantasia: di tutto il passato non mi resta che il dolore”. No, di tutto il passato ci resti il futuro.


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