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Lo ammetto: sono sempre stata affascinata dalla monarchia britannica. Sin da prima di trasferirmi nello UK, quando riuscivo a consumare tutti i libri dei loro maggiordomi e donne di servizio e baby sitter neanche fossero copie di Topolino.
Da quando ci vivo, al fascino ha cominciato ad alternarsi lo scazzo. Noi pagatori di tasse d’Albione a cadenza regolare vediamo sua Maestà e tutto il suo gabinetto, salotto, garage e anche cucina, ciucciare soldi come parassiti. Per il tenore di vita che hanno, pare impossibile che coi loro introiti personali riescano a farci uscire l’ultimo guardaroba di Valentino e il mantenimento dei monolocali in cui vivono. Eppure, pensandoci bene, parassiti o meno è innegabile che nello UK tiri più la monarchia che un carro di buoi. L’economia inglese ha il suo cuore a Londra, e i milioni di turisti che ogni anno versano milioni di sterline nelle casse statali non ci vanno di certo per il clima. Ci vanno perché è Londra, perché Londra ha quell’aura tutta sua e quell’aura tutta sua gliela garantiscono anche la guardia a cavallo in uniforme e Betta che passa in carrozza lungo il Mall e tutte le altre minchiate d’altri tempi di cui noi italiani ci siamo liberati da 65 anni.
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Quindi niente, questo fondamentalmente è il motivo per cui ieri sera ho voluto punirmi andando a vedere Diana al cinema.
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Mi aspettavo un film che parlasse dei suoi ultimi anni di vita, nel bene e nel male. Mi sono ritrovata invece incastrata per due ore in una sala a rimpiangere di non aver dato una chance a RUSH.
Diana. La sua vera storia.
Oggesu’. Speriamo proprio di no.
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Che il film fosse una sola avrei dovuto capirlo dalla sala, vuota nonostante fossimo a nemmeno una settimana dalla prima e nonostante il 2×1 Orange.
Parliamoci chiaro. Non e’ che sono un’insensibile. Non e’ che mi fanno schifo le storie d’amore. E’ che non avevo bisogno di una simile sparata di Guttalax, ieri sera. Proprio no. Con gli Harmony io posso farci al massimo una fochera l’8 dicembre e la sceneneggiatura di questo film si presta parecchio alle linee guida della collana rosa. Deve essere stata scritta da qualche ex-collaboratrice del Sun con contratto a progetto, licenziata e sotto sussidi. E noi ci siamo dovuti sorbire per due ore i risultati delle sue frustrazioni. E avevamo pure pagato il biglietto per vederlo. La colpa e’ solo nostra, in effetti.
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Il primo taglio di vene uno vorrebbe infliggerselo a 20 minuti dall’inizio del film (specie al pensiero che ne mancano ancora 90 prima di uscire dalla sala). Diana e’ in ospedale, le porte dell’ascensore si aprono e dentro c’e’ Sayid Jahrra, pardon, il dottor Khan. Il loro mondo si ferma per tre secondi. Si guardano. Sorridono imbarazzati. La classica scena che nei cartoni giapponesi ti rappresentano in uno svolazzare di farfalle e cuoricini.
Ma quello era solo l’inizio della punizione. Lo strazio vero doveva ancora cominciare. Perche’ nell’ora e mezza che e’ seguita ci siamo ritrovati sparati in faccia un bombardamento di clicle’ capaci di frantumare le palle a chiunque, pure a chi non ce le ha. Neppure capisaldi del tagliamoci-le-vene come P.S.: I love you o Ghost sono arrivati a tanto.
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La trama si riassume piu’ o meno cosi’. Diana va in ospedale a trovare un conoscente e li’ si scontra col dottor Kahn, un chirurgo, con esplosione di farfalle e cuoricini di cui sopra. La notte non riesce a dormire, quel letto a tre piazze ormai va in bianco da troppi mesi e quindi nel tormento ormonale lei piglia, si presenta in ospedale da lui senza avvisare e lo invita a cena. In tutto questo i paparazzi non la vedono, non la seguono, nessuno a parte le infermiere se la caga di pezza.
Kahn si presenta a cena da lei con tutte le guardie di Kensington Palace che gli ridono in faccia. Lui prima insulta quello che lei gli ha cucinato (vendetta trasversale?), poi le fa ordinare un menu’ da Burger King a spese dei Windsor e alla fine scrocca il televisore per guardarsi la partita. Ha la donna piu’ bella del mondo seduta a due spanne da lui pronta a saltargli addosso al minimo cenno e lui guarda la partita. Dalla faccia della Watts e’ infatti chiaro che della partita a lei non frega una beneamata mazza e che sta pensando piuttosto a come sfruttare il letto a tre piazze che ha in camera. Dal giorno che riesce ad avere la meglio sul Chelsea, noi poveri autolesionisti dal biglietto facile dobbiamo sorbirci un’altra ora e mezza di fughe in capo alla Cornovaglia, missioni umanitarie dall’altra parte del globo inframmezzate da dichiarazioni d’amore intercontinentali (del cui costo i contribuenti d’Albione saranno sicuramente stati felici), in un continuo alternarsi di ok-ti-lascio e no-non-ti-lascio-piu’.
Insomma, quello che doveva essere un film sugli ultimi due anni della vita di Lady Diana e’ diventato un polpettone melodrammatico in cui quei due poveri disgraziati perseguitati vivono una storia d’amore fatta di fughe impossibili, litigate sotto la pioggia, urli al citofono alle 3 del mattino e corse a piedi nudi sui prati dei parchi londinesi.
Mi sembra di sentirlo da qui il rollare della povera Diana nella sua tomba ad Althorpe, o e’ solo il traffico giu’ in strada?
Ora, pensiamoci un attimo razionalmente, dài. Diana era la donna piu’ famosa e fotografata del mondo. Viveva nella metropoli piu’ popolata d’Europa. Non poteva fare un passo senza che il cannone di qualche macchina fotografica le venisse piantato in faccia. Vi pare questa una persona che puo’ permettersi di andare sotto casa dell’amante urlando il suo nome dalla strada o di correre come una pazza fuori da Hyde Park in piena notte senza essere riconosciuta da nessuno? A piedi nudi? A South Kensington?
Suvvia, regista, basta sparare cazzate!
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Siccome punirci con la trama non e’ stato considerato da lui abbastanza, aggiungiamoci pure la recitazione da epic fail della Watts.
Non solo non c’azzecca niente fisicamente. E’ pure un pezzo di legno con le rughe di nonna: ma Diana aveva 36 anni o 50?
La Watts ha detto di aver imparato la parte tenendo per ore uno stuzzicadenti in bocca. L’ha aiutata a ricordarsi come muoversi, ha spiegato. Avresti dovuto tenertelo in bocca pure durante le riprese, quello stecchino, Naomi. Anzi, avresti dovuto fartelo affondare in quella schiena di legno da tutti i poveri cristi che t’hanno dovuta filmare, cosi’ avresti capito che e’ meglio se vai a fare la cassiera da Quality Save, invece di far perdere tempo a loro e a noi. Pigliano gli avanzi di galera, da Quality Save. Piglierebbero pure te, se sai che cos’e’ un codice a barre e come si scannerizza.
Un plauso invece alla madre di Khan:
Gli inglesi chiedono sempre scusa, anche quando non lo pensano.
Una battuta da Oscar.
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Diana e’ una storia creata ad hoc per casalinghe annoiate, che fa leva su una tragedia nella speranza di attirare nelle sale quanti piu’ polli possibili – e, nello sperare, ci riesce. Come tanti altri polli prima di me, anch’io ci sono cascata in pieno.
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Giuste o sbagliate che fossero le sue azioni, nella classe e nell’eleganza nessuna Naomi Watts potra’ mai eguagliarla.