Il cinema ha un fascino perverso per le vicende personali di personaggi famosi. Che siano politici, regnanti, attori in rovina, attrici morte per cause misteriose o divi belli e dannati, ogni film biografico attira una moltitudine di persone nelle sale. Questo è il caso anche del nuovo lungometraggio che racconta la “vera storia” di un amore tormentato e quasi impossibile tra Diana Spencer e un cardiochirurgo pakistano. La pellicola in questione è Diana – La storia segreta di Lady D, uscita nelle sale in questo weekend, con la regia di Oliver Hirschbiegel. Il film parte da un flashback. Il 31 agosto del 1997, ultimo giorno di vita di Lady Diana, lei aspetta una telefonata in una camera d’albergo, prima del suo ultimo giro in macchina con Dodi Al-Fayed. Da qui ha inizio la narrazione di una parabola che è possibile interpretare essenzialmente alla luce della turbolenta storia d’amore tra Diana e Hasnat Khan. Una love story tormentata, impossibile, raccontata con toni da tragedia che a volte sfiorano il patetico. Scene di pianto isterico e di gesti che sfiorano lo stalking ritraggono una principessa capricciosa, sola, triste, egocentrica e quasi nevrotica. Un ritratto veramente banale di una delle figure più affascinanti della Storia, che rende l’attendibilità dei fatti narrati decisamente labile. Abbandonati, infatti, molto in fretta i toni da grande melodramma, in cui due amanti devono lottare contro il mondo per poter conservare intatta la passione che li lega, si abbracciano presto quelli di un dozzinale fotoromanzo.
Nulla può la bella e brava Naomi Watts, che si è calata nei panni della principessa con l’intento di conciliare romanticismo e fatti storici senza riuscire pressoché in nessuno dei due aspetti. Diana – La storia segreta di Lady D, inoltre, dura oggettivamente più del dovuto. Si sfiorano le due ore, con la vicenda che ad un certo punto tende a trascinarsi, tra un tira e molla e l’altro, tra pianti isterici, tra capricci reali e fatti veramente poco credibili, che fanno assomigliare la pellicola più ad una “creatura” di Moccia, che ad una biografia o ad un film scandalo, quale poteva essere. L’idea base dell’opera e la voglia di rivalutare la figura di Diana Spencer alla luce di questa sua liaison, che costringe a vedere da un’altra prospettiva anche la chiacchieratissima relazione con Dodi Al-Fayed, perde di importanza nella confusione finale del lungometraggio, tempestata dai flash dei paparazzi e dallo scintillìo di una vita agiata. Tutto in conclusione risulta banale, anche la scena della morte e del commiato dei sudditi, che riesce a strappare una lacrima solo per una frase tratta da un poeta persiano. La pellicola, dunque, può benissimo essere definita più un affare da cronaca rosa che un buon prodotto cinematografico di cui consigliare la visione.