Andavamo in facoltà usando la scorciatoia, quella strada che iniziava stretta con venti metri di claustrofobia e mattoni rovinati e murales e continuava in mezzo ai condomini rosa con le finestre rotonde, che a fermarsi lì neanche lo capivi, di essere a Venezia.
Me la ricordo la Sabina, mentre camminava e mi diceva che aveva un diario dove scriveva quello che le succedeva, diceva Non voglio dimenticare i particolari.
Io di diari ne ho un cassetto pieno: un'agenda per la scuola di Titti, un block notes arancione grande 15 centimetri, una moleskine nera, un quaderno grande a quadri di quelli che usano i bambini alle elementari. Tante prime pagine piene di liti silenziose con l'amica-cugina, speranze per il futuro poco prima di iniziare l'università, i primi giorni dell'amore con Mattia. Poi tante seconde pagine bianche. Terze. Quarte pagine da riempire.
È così che mi sento, da troppo tempo: una prima pagina che ancora non sa come riempire la seconda.
Ah, io li ho dimenticato i particolari, ma ho dimenticato anche le cose grosse.