Quando ho comperato il libro di David Byrne mi aspettavo qualcosa di legato alla bicicletta in termini differenti da ciò che poi ho trovato leggendolo.
Ne avevo sentito parlare in una trasmissione radiofonica e la mia idea era quella di una sorta di viaggio su due ruote nel quale filosofia di vita e consigli pratici la facessero da padrone.
Invece Diari della bicicletta si è rivelato cosa piuttosto diversa.
In primis il racconto di Byrne riguardo alle proprie escursioni non è molto coinvolgente: spesso si limita ad elencare quali tragitti compie e cosa incontra sul cammino senza però risultare appassionante.
In secondo luogo, molte parti del libro contengono analisi culturali e filosofiche sulla popolazione e sui luoghi da lui visitati, ma non sempre tali considerazioni appaiono coerenti con altri punti di vista espressi dall’artista, quasi ci fossero non propriamente due pesi e due misure, ma come se a volte si limitasse ad un resoconto puro e semplice, mentre in altre volesse dare una frecciatina per rimarcare comportamenti scorretti o non propriamente condivisibili.
Qualche esempio:
in una riflessione sul popolo filippino si racconta che fino a prima della dominazione spagnola pare non esistesse la scrittura e pare che questa fosse stata introdotta dai conquistatori per esigente puramente amministrative: tenere conto delle assegnazioni dei terreni, identificare le persone e tracciare i debiti e le tassazioni; in pratica un sistema di controllo.
Ecco dunque un caso nel quale un segno che normalmente viene ritenuto un indicatore importante del livello di civiltà di un popolo ( la scrittura ), qui viene rappresentato come simbolo distintivo della dittatura e dell’oppressione di un popolo verso un altro.
Una situazione simile si trova nel capitolo dedicato a Sidney quando l’argomento trattato sono gli aborigeni e le loro tradizioni: anche qui un punto di vista che pare mettere in dubbio certi valori senza però chiarire fino in fondo il pensiero.
Altra considerazione che va più o meno nella stessa direzione è quella del rientro a New York dopo un lungo periodo all’estero.
Qui Byrne sottolinea: arrivando negli Stati Uniti da un paese estero, si nota facilmente che tutto il personale di manovalanza dell’aeroporto è costituito da afroamericani e neo-immigrati ed è così che un ritorno a casa smaschera con questi semplici fatti la menzogna di un giornalismo interno imparziale; questa scoperta è evidente e scioccante al tempo stesso..
Il cosiddetto “giornalismo” si riduce dunque ad una ripetizione pappagallesca delle dichiarazioni dell’addetto stampa della Casa Bianca.
Non che la stampa europea o britannica sia meno faziosa, ma negli Stati Uniti si viene indotti a credere che i giornali siano imparziali e privi di pregiudizi e questa idea viene rammentata in continuazione.
Bene, fino a qui non ci sarebbero grandi problemi: David Byrne è una persona con le proprie idee e le esprime liberamente come ciascuno dovrebbe essere in grado di fare in piena libertà e autonomia.
Oltretutto, in un inciso, è egli stesso che si autodefinisce artista di tendenze sinistrorse e dunque nulla da dire sulle opinioni da lui espresse.
La mia critica, se vogliamo chiamarla in questo modo, si riferisce a quanto già detto in precedenza: la diversità di puntualizzazione presente in molti passaggi.
Qualche esempio ancora:
ad Istanbul Byrne viene portato in un locale dove assiste alla danza del ventre assieme ad un gruppo di banchieri kazaki.
Durante il tragitto rimarca la grande differenza tra ricchi e poveri in Turchia così come avviene negli Stati Uniti e si dichiara preoccupato perché alcuni quartieri poveri sono diventati obiettivi di società immobiliari e su di essi grava la minaccia di demolizione con conseguenze immaginabili per gli abitanti.
Poi arriva a destinazione ed assiste prima al mercanteggiare sul prezzo, poi allo spettacolo delle ragazze in reggiseno e collant ed infine al passaggio dei bambini che raccolgono le offerte.
La danzatrice fa il giro raccogliendo banconote nel reggiseno e tutti quanti bevono ed applaudono.
Byrne si dichiara rapito dalla musica che è molto toccante e che trasmette tutta la tristezza del mondo.
A questo punto mi sarei aspettato una presa di posizione o almeno un’analisi dei questi spettacoli di basso livello, come dice anche lui, messi insieme per gli stranieri, oppure qualcosa di più sul modo di vivere di tanta parte della popolazione, magari la stessa che abita i quartieri attraversati poco prima.
Invece nulla.
Nulla qui e nulla in tante altre occasioni, come le cene in locali di lusso, oppure gli inviti in club privati, ecc.
Detto questo mi pare opportuno abbandonare i giudizi sulle opinioni espresse dall’autore e tornare all’analisi del libro che, come dicevo in partenza, presenta diversi livelli di approfondimento e di partecipazione.
Ne consegue che alla fine di tutto, facendo tre distinzioni si potrebbe riassumere il commento in queste poche righe:
dal punto di vista ciclistico il diario non trasmette molte emozioni;
dal punto di vista del visitatore, quando cioè si parla dei luoghi e dei costumi, si ritrovano atteggiamenti differenti a seconda del coinvolgimento dell’autore:
quando l’autore veste i panni dell’osservatore finisce con l’essere piuttosto critico verso la società moderna e lancia frecce appuntite nei confronti della politica e dell’economia globale;
quando l’autore invece racconta dei propri incontri come invitato in luoghi come locali di alto livello, club privati e sede della Apple, si limita a resoconti da puro ospite.
Ecco, le due cose che si possono contestare a David Byrne dopo la lettura di questo libro, sono da un lato la incapacità di trasmettere emozioni forti agli amanti della bicicletta (che magari avevano acquistato il libro con quella speranza), dall’altro una certa incoerenza nel racconto delle città visitate, proprio per questa alternanza tra analisi incisive e semplici resoconti.
Viceversa, il numero e soprattutto la differenza tra le varie città presentate costituiscono la caratteristica più apprezzabile di questo libro che non sempre riesce a mantenere l’interesse del lettore ad un livello alto, ma che comunque non fa pensare di aver sprecato il tempo della lettura.
In sintesi:
libro interessante per le diverse città raccontare
libro deludente per la parte ciclistica
libro criticabile per le analisi di differente livello
Tempo di lettura: 9h 07m