gli aereoporti sono lo spazio sospeso del tutto possibile.
a me piacciono. mi piacciono molto. e quando ospitano un po' del mio tempo assecondano il mio delirio di onnipotenza. gli aereoporti sono un non luogo, di conseguenza se un luogo non è un luogo, lì dentro io posso essere e non essere. io posso tutto dentro un aereoporto. tendenzialmente sogno e spesso rido. qualunque sia la meta dei miei viaggi, l'aereoporto diventa la meta-meta verso di me. verso il viaggio che sto per fare e quello che farei insieme a quello che farò. mai quelli che ho fatto. quelli restano puntualmente a terra. mi hanno insegnato a non portare liquidi ed evitare le code, ma sono il passato e quello passa, non vola. negli aereoporti mi prende la viaggezza. la voglia di non fermarmi, di non tornare e di continuare finchè non mi trovo. io all'aereoporto mi trovo sempre e l'unico bagaglio che non mollo è la leggerezza del non portarmi pesi dietro. la viaggezza è la mia incurabile ed inguaribile malattia preferita. quella che nei viaggi reali ed in quelli esistenziali mi spinge ad alleggerire il mio guardaroba emotivo per non andare in overload e rischiare di non partire. io la viaggezza ce l'ho da sempre e sempre con me, ma in aereoporto, esplode, esplode come la peste di camus che non avevo letto. ma rido, perchè so che non è grave, so che è solo viaggezza che mi porta lontano, ma senza mai allontanarmi da me. rido perchè so che non è grave, so che almeno non è quiviagezza...
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