Così immaginavo la guerra, o meglio i suoi prodromi incruenti: auto che aspettano il turno per rifornirsi. I caselli autostradali sono fermi da questa mattina ma la protesta degli autotrasportatori, che è partita dalla Sicilia, ha fatto il giro di mezza nazione. Sul posto sono giunti alcuni furgoncini con parabole e microfoni ambientali, ne sono scesi uomini e donne molto meno eleganti di come ci si aspetterebbe vedendo i film alla televisione, hanno preso alcune immagini di fretta, quasi con rassegnazione, e se ne sono andati. Il giorno stesso il comune di Altopascio e il capoluogo di Provincia sono apparsi alla ribalta del telegiornale della sera e hanno mostrato quello che in questi giorni si vede un po’ ovunque: file di mezzi fermi, qualcuno che parla al telefonino, il volto incolore di qualche “responsabile” che assicura che il traffico sarà ripristinato “al più presto”. La popolazione lucchese, che di natura è pratica e piagnucolona, si è riversata nelle strade e ha fatto il pieno di scatolette e di benzina finché i distributori non sono rimasti a secco e i supermercati hanno finito per esporre solo le merci di minor pregio.
Sì, Lucca – la città bianca in cui i mendicanti sono dignitosamente alloggiati, le mense dei poveri offrono pietanze da trattoria e perfino la miseria più nera (una sola coppia senzatetto) è coperta o abbigliata nel modo più decoroso – la piccola Lucca massona e vescovile ha tirato qualche colpo di tosse. Come ogni volta in cui avviene un cambiamento di ciclo breve o medio nella vita delle persone, le prime cose che succedono sono quelle per le quali gli uomini più difficilmente e con meno impegno trovano le parole. In altri termini cominciano le assenze.
Un mattino di non molto tempo fa un uomo in cravatta, vestito con una camicia azzurra e un cappotto d’agnello è entrato nella redazione del terzo quotidiano cittadino, che ha sede in via della Circonvallazione. Il caposervizio era il solo a sapere che si trattasse dell’amministratore e che quella era una visita di commiato. Quello stesso pomeriggio il giornale lucchese ha cessato la sua attività. Dopo pochi mesi cinque colleghi impiegati in una tv locale si sono trovati sotto minaccia di cassa-integrazione mentre un’altra piccola emittente è letteralmente esplosa.
Ho incontrato di recente uno di questi giornalisti, mio conoscente, in occasione di un aperitivo in Piazza Anfiteatro. È arrivato quasi di corsa, fuori dalla soglia ha gettato in un tombino il mozzicone che teneva in bocca e poi mi ha guardato in cagnesco, sfidandomi a dire una cosa quale che fosse. Stavo per esordire con un discorso sulla comunicazione, sulle responsabilità degli editori e sul destino della categoria quando l’uomo si è messo a bestemmiare furiosamente, ha acceso un’altra sigaretta e se n’è andato a riempire, con lo stesso risentimento, un piattino di rondelle di wusterl e patate fritte. Per tutto il corso dell’aperitivo non ho avuto il coraggio di rivolgergli la parola.
Per quanto riguarda il microcosmo dell’impresa alla quale apparteniamo, noi impiegate ci diamo appuntamento due volte al giorno davanti alla macchinetta del caffè. Si tratta di una piccola imitazione di frigorifero posta al sommo della tromba di scale dell’edificio nel quale siamo sistemate. Qualcuna tira fuori una chiavetta magnetica e la inserisce nella fessura contando le monetine che ancora mancano per arrivare ai quaranta centesimi. A quel punto l’apparecchio si mette in moto e con grandi vibrazioni d’aspirapolvere partorisce un filo nero che sarebbe audace definire caffè espresso ma che pure riesce migliore di molti beveroni che ho assaggiato in giro per l’Europa. Le altre sorseggiano i loro macchiati e i cappuccini fatti col latte in polvere e guardano un punto lontano, col naso nascosto nel bicchiere di carta, senza alcuna fretta di tornare al lavoro. Per cosa, poi? Siamo tutte donne, le più mature sono separate e con figli a carico, senza eccezione. Conosco persone che sono costrette a recarsi in ufficio a piedi (il nostro stabile è in piena zona industriale) e altre che non possono pagare le bollette: quando parliamo esse tacciono oppure hanno un sorrisetto in cui non si capisce quale sentimento ci sia. Ma che si tratti di una forma più o meno maligna di imminenza, su questo non ho dubbi.