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Quando 4 mesi fa ho messo in valigia la torcia frontale, quella che uso anche in montagna, tutto avrei pensato, meno che di usarla per andare a caccia di galline nel cuore della notte.E' una storia lunga e forse è meglio cominciare daccapo.
Bernard è un bambino di 7 anni con una faccia buffa e qualche problema di salute. La mia collega pediatra me l'ha portato in laboratorio di ecocardiografia parecchie settimane fa. Uno strano soffio al cuore, infezioni ricorrenti e un brutto mancafiato che gli prende proprio quando comincia a divertirsi un po' giocando con papà. Perché la mamma, in tutti questi mesi, non si è vista mai. Tira una brutta aria, meglio non chiedere niente.Bernard è un bambino simpaticissimo, timido proprio per niente ma che tende a spaventarsi esageratamente quando lo chiami o ti avvicini un po' troppo. Allora si nasconde dietro la gamba del papà, un signore gentile ed educatissimo, con una dignità che solo alcuni poveri riescono ad avere. Qualche anno fa ha subito un difficile intervento all'intestino, si alza la maglietta e scopre una grossa cicatrice da prima guerra mondiale. Da allora non può lavorare.Bernard quando ha un po' di paura attacca a piangere senza pensarci due volte. Per farlo stare buono, mentre gli appoggio la sonda inzaccherata di gel nel bel mezzo dello sterno, occorre un po' di musica che esce dal telefonino.
A guardarlo bene, in effetti, è proprio strano. Troppo piccolo per la sua età anagrafica, ancora incapace di contare e di pronunciare poco più del proprio nome, spaventabile oltre ogni limite appena lo chiami per nome e un attimo dopo amichevole come dopo due pinte di birra. E quella faccia poi: un elfo, solo un po' più nero di quelli che si vedono ne Il signore degli anelli. Le orecchie sono a punta, la fronte grande, gli occhi più gonfi di quello che t'immagini e quel mento sistemato un po' all'indentro, a dargli quella buffa smorfia. Per non parlare dei denti, cariati e divisi da ampi solchi ineguali.Questa volta il vero dottore lo fa Google. Basta mettere insieme i sintomi e in una frazione di secondo, un motore di ricerca concepito quasi 20 anni fa in un continente che non è né il mio né quello di Bernard fa la diagnosi: Sindrome di Williams.Per farla breve si tratta di una malattia genetica parecchio rara che si manifesta con alterazioni faciali, psico-comportamentali e cardiache. Ogni pezzo del puzzle va al suo posto e, in un attimo, Bernard diventa una malattia con nome e cognome, un caso clinico da presentare a un congresso, l'ennesimo candidato a una cardiochirurgia nemmeno troppo difficile che probabilmente non riceverà mai. Ma questa è solo una parte della storia.
Alle 07 di questa mattina a svegliarmi è stato il suono incessante di una chiamata al cellulare. Il display indicava che era il padre di Bernard. Assonnato e confuso non ho risposto e mi sono girato dall'altra parte, ma questi Acholi quando vogliono tendono ad essere parecchio testardi, ed ecco che questo signore che si mette la camicia più bella che ha per fare le tre ore di strada che separano il suo piccolo villaggio dal Lacor Hospital si presenta alla porta con un regalo per noi. Non è la solita scatola di cioccolatini, sono due galline vive che tiene per le zampe. Così tranquille assomigliano già di più a qualcosa da mettere nel piatto che ad un animale ancora vivo. Ci accordiamo con le cuoche per la cena di domani, le sistemiamo in un angolo del terrazzino e torniamo alle occupazioni di un qualsiasi mercoledì di inizio gennaio a Gulu.La sera è il regno del panico: Galline in fuga, parafrasando il titolo di un famoso cartone animato. Gallina, a dire il vero, perché ad evadere è stata solo Akello Grace, la più piccola delle due, con le piume dorate e lo sguardo più vispo che sia concesso a del pollame. Ocen Barbra, invece, siede sulla sedia di vimini della veranda, incurante del continuo passaggio di cose e persone. Oltre che del gatto, che la fissa sornione leccandosi i baffi. Le abbiamo battezzate così, prendendo in prestito due nomi tra i più comuni in questo angolo di Uganda.
Eccoci qui, con questa pila sulla testa, i primi sbadigli e i pantaloni del pigiama, a setacciare metro per metro i cortili di questa ala dell'ospedale nel cuore dell'Africa.Dopo mezz'ora di appassionate ricerche ritroviamo la dispersa, lì accovacciata, come si suol dire. Non si era allontanata troppo e sembrava aspettare qualcuno che la riportasse indietro.Ora non resta che litigare sull'opportunità di mangiarle. Sembrano buone, in quel regno a cavallo tra la pietanza e l'animale domestico. Ma per questo abbiamo tutto domani.
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