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Stanza 3, letto 36.
Akello E. ha 40 anni e una pancia che sembra quella di un inglese appena uscito da un pub dopo una vittoria dell'Arsenal. La birra in questo caso non c'entra; questa signora, ormai di una certa età per gli standard ugandesi ma con l'espressione di una ragazzina appena uscita da scuola, ha una cirrosi epatica scompensata, una malattia che trasforma il fegato in un duro parenchima tappezzato di noduli e che fa gonfiare l'addome di liquidi in eccesso. Dicono ne abbiano drenati più di 10 litri, nella settimana scarsa in cui occupa questo letto vicino alla finestra, nell'ala femminile del reparto di Medicina Generale. Per evitare che si riformi troppo in fretta, in questo mondo dove i farmaci sono pochi e costosi, bisogna raccontarle, rigorosamente in Acholi, che le tocca mangiare un uovo di gallina bollito a giorni alterni. Anche tutti i giorni, provo a dire, ma mi fanno subito notare che ci vorrebbero troppi scellini nel portafoglio.E. ride di gusto raccontando che quando le si è gonfiata la pancia un po' improvvisamente, qualche mese fa, pensava si trattasse di un'altra gravidanza. L'ennesima, è il caso di dirlo, perché E. ha già 7 (sette) figli. Come i peccati capitali, le meraviglie del mondo, i colori dell'arcobaleno o le stelle di Hokuto. Più di 3 volte la media di una famiglia italiana, più di un quintetto di pallacanestro.Le racconto di un cartone della Disney di molti anni fa dove una signora con un nome a cavallo tra un colore e una cosa strana che chiamano neve, si trovava a fare la balia a 7 nanetti, uno peggio dell'altro. Credo non mi capisca del tutto, ma va bene lo stesso.Oggi la dimetto, e me la ricordo un po' così, vestita colorata che ride guardando sullo schermo del mio telefono un disegno di Biancaneve circondata da 7 uomini che, una volta tolto il cappello, le arrivano a stento alle ginocchia.
Stanza 4, letto 14
Elveria A. ha 62 anni e viene da un villaggio che si chiama Tocci, a parecchi Km da qui. E' in ospedale da quasi due settimane e finalmente la sua malattia ha un nome e cognome di tutto rispetto: linfoma non-Hodgkin, un tumore del sangue. Un trattamento, a volte risolutivo, esiste anche e si basa su un cocktail di farmaci chemioterapici che ci sono anche in Uganda. Basta pagare; per completare tutti i cicli terapeutici servono 2.400.000 scellini ugandesi (circa 800 euro). L'ospedale ha delle risorse limitate e alcuni trattamenti, per forza di cose, non possono essere distribuiti gratuitamente. Elveria, manco a dirlo, questi soldi non ce li ha.Fa la catechista in una parrocchia qui vicino, al collo ha un crocefisso di legno attaccato a una collana di perline di plastica colorate e tra le mani tiene un libro consunto con una copertina in pelle strappata in più punti e le pagine ingiallite. E' una bibbia, tradotta in Acholi.Ci si chiede come possa trovare i soldi, dato che non ha mucche da vendere. Neanche una capra, ad essere onesti. Quando le chiedo se non ha dei figli che possono aiutarla abbassa lo sguardo. Ne avevo 7, racconta, ma sono tutti morti.Oggi la dimetto, dice che in un paio di settimane, "if i pray hard", conta di trovare la somma che serve. Sono passati diversi anni, ma sono quasi sicuro che la storia di Biancaneve non finisse esattamente così.
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