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Cinque sensi, ad una prima analisi, sembrerebbero tanti per una persona sola. Vista, tatto, gusto, olfatto, udito: verrebbe da pensare che ogni stimolo esperibile dell'intera nostra esistenza possa stare in una di queste categorie sensoriali o in una combinazione di esse. Che ci bastino, però, è tutto da dimostrare. Ci sono circostanze, infatti, che sebbene siamo in grado di intuire perfettamente, ci sfuggono nella loro essenza.Prendete le cose che finiscono, ad esempio. Io mica lo so che sapore ha l'ultimo giorno trascorso da qualche parte. Di che colore è l'ultima volta che si percorre una strada, cosa si sente davanti ad una persona che si abbraccia per l'ultima volta, quale il profumo di una casa dove si è stati e non si starà più.
L'ultimo giorno qui fa parecchio rumore, e lo fa sin dal suo principio: gli occhi si aprono la mattina presto al richiamo di 3 grossi galli che nel cortile antistante la camera da letto, si sfidano a chi canta più lungo. Anticipano di qualche secondo la sirena che chiama tutti al lavoro, precisi come un orologio svizzero. L'ultimo giorno è una chiesa che si svuota sulle note di un canto potente, scandito al ritmo della mani che battono l'una contro l'altra, è il rumore della zip che chiude una grossa valigia senza rotelle.Nessun suono è davvero nuovo, le nostre orecchie si scusano imbarazzate di non essere il mezzo adatto a cogliere un addio.
L'ultimo giorno è rivestito di luce, pura e semplice. Si appoggia su qualunque cosa, case e persone brillano nella canicola con i loro vestiti colorati, le scritte su una capanna e le insegne degli shops che richiamano l'attenzione dei passanti. La nostra vista si presta a divenire souvenir, un ricordo digitale, non per questo effimero, da riportare a casa. Così prende le forme di un esercito di bambini che si affolla su una macchina fotografica per vedere la propria faccia appena ritratta, il cancello dell'ospedale con la guardia armata che sorride, le signore che al mercato vendono ortaggi variopinti. La mente si ricostruisce immagini luminose tipiche di ogni domenica e scopriamo che anche gli occhi non scorgono più in là di quanto hanno già visto.
La marmellata in lattina sul tavolo dove faccio colazione è una gelatina piena di conservanti che si importa dal Kenya. Ha un colore innaturale e il sapore anonimo di tutte le marmellate industriali del mondo. Ieri le cuoche hanno preparato l'Odiri, un burro d'arachidi denso e saporito che mischiano con del sesamo macinato. Fanno tutto a mano, con pazienza e dedizione e ne viene fuori qualcosa di unico e delizioso. Non resta che prendere un pezzo di cassava fritta, immergerlo in questa crema marroncina e dare un bel morso. È un sapore a cui mi sono ormai abituato, neanche le papille gustative sono strumento sufficiente a captare quel retrogusto atipico dell'ultima volta.
La strada davanti all'ospedale pullula di moto con il motore accesso e negozietti di alimentari dove oltre a biscotti confezionati si cucina sul carbone. L'aria e la sua polvere si impregnano dell'odore della combustione. Miscela, cenere, pesce fritto e uova bruciate si combinano in una puzza sgradevole e nel contempo familiare. Mi si avvicina un bambino di 4-5 anni, mi stringe la mano e io passo la mia sulla sua testa nerissima. I capelli qui sono più un'idea che una presenza reale, servono le dita per sentire quel ruvido di ricci dalle pieghe infinitamente piccole. Il fiuto e il tatto fanno del loro meglio a carpire quel che c'è di nuovo in questo ultimo giorno d'Africa, ma falliscono miseramente ricadendo in antichi, conosciuti cliché.
Qualche settimana fa, con una punta d'ironia, ho trovato, quasi minaccioso, un avviso in una mail: "stai attento al Mal d'Africa". Ho risposto che questo famoso senso di smarrimento che citano tutti quelli che passano di qui assomiglia alla malattia reumatica, una malattia del cuore molto frequente a queste latitudini che comincia con un attacco acuto, febbre alta e forte mal di gola e poi passa attraverso una fase di latenza più o meno lunga per poi ritornare, irreversibile e duratura, in un danno alle valvole del cuore. Sdraiato nel letto, nell'ultima notte sotto la zanzariera, sento un forte mal di gola. E' una sesanzione nuova e ancestrale insieme, mai provata prima, qui o altrove.Come un senso in più. E' questo, credo, il senso delle cose che finiscono.
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