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Il cervello umano, chissà, forse in uno slancio ottimista, è portato a riconoscere più le analogie che le differenze. Così, in un batter d'occhio, quasi non ci si accorge di passare dalla Spagna del diciannovesimo secolo all'Africa subsahariana dell'altro giorno.La Sagrada Familia è la cattedrale di Barcellona. Ricordo di averla vista in un breve viaggio nell'estate dopo la maturità, nel lontano 2003. La navata centrale era stata appena ricoperta, la gente si faceva il segno della croce entrando da una delle porte laterali, ma al posto della vasca con l'acqua santa trovava un distributore di lattine colorate e intere squadre di muratori in canottiera a fare su e giù con le travi in spalla.Gaudì iniziò la costruzione di questa chiesa, manifesto del modernismo, nel 1883. Una sera di quando aveva 73 anni, attraversando la strada di ritorno dal cantiere, venne travolto e ucciso da un tram. Chissà se ci ha pensato, nell'attimo prima di morire, a quando il suo progetto avrebbe avuto definitivo battesimo.
A Lacor, il piccolo villaggio a pochi Km da Gulu, brother Elio da alcuni anni sta faticosamente mettendo in piedi una grande chiesa a pochi metri dalla ferrovia abbandonata che una volta arrivava sino alla capitale, in una grande radura lasciata libera da palme e capanne per l'occasione.Un tempio da lasciare alla tribù degli Acholi, dove venire a trovare un senso per tutto ciò che, giorno dopo giorno, gli tocca sopportare. Qualche mese fa hanno montato dei vetri colorati e ogni domenica mattina, più o meno nel momento in cui il parroco chiede a tutti di fare il segno di pace, il pavimento viene illuminato da raggi di sole arcobaleno su cui giocano i bambini.Fino a poco tempo fa, appena dietro l'altare, erano montati alti ponteggi che arrivavano quasi al soffitto. Servivano a Luigi (il pittore) e a suo figlio Stefano (figlio di pittore) per raggiungere il muro sopra le arcate laterali e dipingere i muri bianchi. Mi sono chiesto spesso come doveva apparire questa chiesa, sempre gremita di gente e sorrisi, vista da lassù in alto.Adesso, quando si entra dalla porta centrale per prendere il fresco durante la stagione secca e si alza lo sguardo in alto, si vede una lunga striscia variopinta di quadretti gialli rossi e neri che fa da perimetro intero della navata centrale, qualche centimetro sopra i capitelli. I colori si interrompono poco oltre la quarta colonna di sinistra, guardando l'altare, e la striscia si continua in un canovaccio tracciato a matita che a stento si vede da diversi metri più in basso. La polvere rossa non risparmia i piccoli segni che giorno dopo giorno divengono via via più sbiaditi. I ponteggi sono stati rimossi e l'effetto è quello di un grande cantiere di un'autostrada italiana fatto chiudere dalla magistratura. In questa interruzione improvvisa c'è l'immagine stessa della precarietà. Della vita, innanzitutto.
Al pittore piaceva dipingere Gesù, gli angioletti e tutta la bibbia. Si era portato dall'Italia una grossa valigia piena di trucchi e colori, come un prestigiatore. Ricordo quando si allenava in sagrestia ad attaccare piccoli frammenti di carta dorata sull'aureola del grande Cristo Pantocratore che sarebbe finito sopra l'altare, il manto luccicante illuminato dalla luce naturale dell'Africa. Baffi e capelli grigi ma folti, occhiali vecchia maniera e una pancia orgogliosa. Me lo ricordo disteso nel letto di terapia intensiva dell'ospedale, gli occhi semiaperti sotto i lividi mentre tentava di strapparsi ogni tubo con la rabbia di chi deve rimanere qui per finire qualcosa.Il pittore era stato anche chissà dove in Russia, lo raccontava spesso, a fare un corso di iconografia religiosa, una passione vecchia quasi quanto lui. Tra un disegno e l'altro il Luigi ha fatto per una vita il falegname a Moena: l'attività che lo occupava per la maggior parte del tempo era in realtà semplice ripiego ed espediente per campare. Tavoli e camerette in cambio di scatole di colori e pennelli.Un lavoro da artigiano come tanti, da fare con le sue grandi mani, che teneva sempre conserte sul petto mentre parlava con qualcuno. Quelle mani piene di calli che si saranno raffreddate parecchio in quelle lunghe mattine trascorse in un paese in mezzo alle montagne, reso famoso da un formaggio che puzza e da grandi fontane di ghiaccio fotografate dai turisti. Fino a quella telefonata di un giorno di aprile, all'altro capo di un filo teso tra due continenti c'era quel vecchio compaesano che non vedeva da un po', al secolo Elio Croce, che lo chiamava dall'Uganda con quel fare brusco e sincero. "Vieni a Gulu a dipingermi la chiesa".Questa è la storia di un uomo che dopo una vita di lavoro e sacrifici vince un biglietto della lotteria nel primo giorno di pensione, prende armi, figlio e bagagli e si trasferisce in un luogo lontano dove si vive in maniche corte. Una canzone di Van de Sfroos, per farla breve.
A Luigi lo hanno stirato col camion. Ne ha parlato la radio di Gulu e "La provincia" di Trento. Ne hanno parlato tutti i volontari d'Uganda e l'intero ospedale Lacor. Ne avranno parlato un sacco nei bar di Moena, dove si comincia la mattina a bere grosse sorsate di vino. Ne abbiamo parlato nelle nostre case e sul sedile di dietro di un mototaxi del posto guidato da un ragazzo che lo conosceva. A nulla è valso raccoglierlo dalla strada con una fretta un po' estranea a mamma Africa, caricarlo su un aereo pieno di anestesisti e trasferirlo nella terapia intensiva di un ospedale di Nairobi.Luigi è ora sepolto sotto la terra e la neve di Moena, a migliaia di Km di distanza da quella chiesa incompiuta. Chissà se ci ha pensato, nell'attimo prima di morire, a quando il suo progetto avrebbe avuto definitivo battesimo.
An old man,he won the lottery, and died the next dayAnd isn't it ironicDon't you think?
Alanis MorissetteIronic
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