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Ieri sera, con la pancia piena, la valigia sistemata e qualche ora di sonno in più, nella solitudine di una guesthouse su una delle verdi colline di Kampala, mi sono trovato in un solco. Un solco, già.Perché talvolta può capitare di scoprirsi a percorrere un segmento di vita che altri, a loro volta, hanno già tratteggiato. Ce ne si accorge appena, se uno non sta più che attento a certi discreti segnali, eppure ci sono giorni e mesi in cui la strada che percorriamo così spavaldi, per quanto ci possa sembrare accidentata e avventurosa, altro non è che una via sicura che altri, prima di noi, hanno aperto e seguito.Avete presente un sentiero di montagna, con quei segnali bianchi e rossi, puntuali e precisi; invisibili fino a quando non servono eppure così ovvi, quasi appariscenti, proprio nel momento in cui si pensa di essersi perduti? Ecco, qualcosa del genere.
Il registro degli ospiti di questa pensione è un librone consunto e ordinatissimo, un file Excel arcaico tenuto insieme con lo spago. È appoggiato in bella mostra su un tavolino basso al centro del salotto.Esther, la ragazza ugandese che mi ha accolto qui, dopo avermi cucinato una quantità improbabile di pastasciutta al pomodoro ("Long journey tonorrow!") mi ricorda di firmarlo assolutamente prima di andare via all'alba. Sorride di un sorriso incredibile, di un bianco che sembra irreale, mentre si chiude la porta alle spalle per uscire in cortile.Quando le galline se ne vanno a dormire e il traffico della strada in lontananza si cheta rimango in questo silenzio un po' sospeso. Sul muro c'è un geco coloratissimo impaziente di mangiare le prime zanzare della serata.
Scorro le pagine all'indietro come se mi trovassi seduto su una macchina del tempo di carta, invece che si questo divano blu; si va indietro fino agli anni '90, nelle caselle si alternano frenetici nomi, parole di ringraziamento e paesi di provenienza. Tutti hanno scritto in bella calligrafia, persino i medici; quando si tratta di lasciare un segno ci si prende sul serio.Cerco con esattezza i nomi di chi era qui prima di me. Vedo le loro mani bianche che scrivono a penna poche sillabe. Li trovo tutti, puntualmente.Questo è il senso di un registi, penso un po' sorpreso.
E in un attimo mi sento un pó come una goccia d'acqua in un torrente di montagna che se ne va indecisa, secondo gravità, pensando di decidere tutto senza decidere niente. E c'è qualcosa di rassicurante in questo.
Dal sedile numero 49 di questo autobus postale diretto al nord del paese, guardo le palme fuori dal finestrino. " La perla d'Africa", come recita una slogan un pó inflazionato, è una terra verdissima costellata da piccoli vilaggi dove miriadi di bambini giocano correndo dietro ai copertoni e le mamme cucinano instancabili. Mentre l'autista ingaggia una specie di gara con due ragazzi allegri con la passione per il clacson alla guida di un camion carico di banane, penso che forse sono qui proprio per questo, seguire un solco e tracciarne di nuovi.
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