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Diario africano/10 - Il primo Muzungo di un Latin

Creato il 28 settembre 2014 da Mapo
Lacor Hospital, 25 settembre
Diario africano/10 - Il primo Muzungo di un Latin
La sala d'aspetto della radiologia, qui al Lacor Hospital, è un'ampia veranda aperta su un lato in cui sono state sistemate 4 lunghe file di panche di legno.I pazienti, in attesa di lastre ed ecografie, attendono un po' ammassati, i più fortunati seduti. Il colpo d'occhio è insieme stupendo e angosciante. Stupendo perché qui la gente tende a vestire in maniera a dir poco colorata e informale; angosciante perché ogni vestito variopinto è un esame da smaltire prima di arrivare a sera.Su alcuni sgabelli qualcuno ha messo dei grossi bidoni gialli e rossi con un rubinetto sul fondo; chi ha sete si riempie un bicchiere d'acqua nell'attesa.
Oggi sembra un giorno abbastanza tranquillo, nonostante il fine settimana incomba sulla lunga scaletta di esami da programmare: nella sala ci saranno una sessantina di persone, e sono solo le 11 di mattina. Mi hanno chiesto di fare un ecocardiogramma così sono qui, in piedi in mezzo al corridoio, ad aspettare che liberino la stanza prima di entrare. Tutto bianco, dalla pelle al camice.Qui, di solito, ti guardano tutti. Non che ti guardino male, anzi. Ma neanche si può dire che ti sorridano, ti salutino o vogliano dirti qualcosa di specifico. Semplicemente ti fissano, anche solo per ingannare il tempo.
Come in ogni altro posto in questo angolo di mondo ci sono bambini dovunque. Alcuni attaccati al seno delle madri, altri seduti per terra, altri ancora persi nella folla con dei giocattoli in mano.Ne vedo uno, in particolare; avrà forse un anno di età, a stento riesce a muovere i primi passi tenendo la mano della mamma che, lungo il corridoio, mi viene incontro in questo teatro umano. Ha una polo blu elettrico e si tiene la mano sinistra in bocca mentre guarda distrattamente a terra.Nella quiete un po' surreale di questa tiepida mattinata niente lascia presagire la tempesta che sta per consumarsi.Arrivato a meno di mezzo centimetro da me, questo nanerottolo dai capelli neri e riccissimi si ferma un secondo e, improvviso, alza lo sguardo. Mi fissa negli occhi, una frazione di secondo che sembra durare una vita.
Sorrido. Mi sembra naturale, quando ti guarda un bambino.
E lui scoppia a piangere. Non un pianto sommesso, un gemito discreto nella gonna della mamma. Proprio no: urla come un indemoniato, fortissimo, scuotendo le mani verso di me, quasi avesse visto un fantasma.
Il silenzio intorno diventa ancora più profondo, isola questo strazio lancinante elevandolo ad un livello di decibel persino superiore.La mamma, non capisco quanto scocciata, trascina via il bambino. L'effetto è quello di una sirena d'ambulanza che si allontana sulla strada.Credo di essere diventato perlomeno bordeaux.
Dopo qualche secondo, d'improvviso, tutti scoppiano a ridere, quasi come se qualcuno avesse alzato uno di quei cartelli ("risate") da studio televisivo. E' un rumore bello, che riempie il tempo e lo spazio.
"Muzungo - mi spiega finalmente un signore di una certa età a qualche metro di distanza - questo è quello che succede quando un latin vede per la prima volta un uomo bianco".

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