Magazine Società

Diario africano/6 - Che paura

Creato il 19 settembre 2014 da Mapo
"Paura"; proprio non so come si traduca in Acholi, la lingua più parlata in assoluto in questo angolo di Uganda.Magari, penso, va a finire che neanche c'è, la parola adatta. Uno di quegli aneddoti ad effetto, da tirare fuori all'improvviso, nel mezzo di un aperitivo milanese, stile "gli eschimesi hanno 100 parole per dire neve".Eppure, ogni tanto, un po' di paura fa capolino in questo mondo fatato di frutta fresca, clima temperato e sorrisi larghi un metro. Quando, appena sbarcato dall'aereo con addosso un maglione che si rivela istantaneamente inadatto, ti ammassano in uno stanzone dell'aeroporto con altre centinaia di persone cariche di bagagli e un infermiere con guanti e mascherina ti punta addosso una pistola che prova la temperatura, per esempio. Quando assaggi un biscotto che probabilmente è stato fatto per terra in una capanna e ti chiedi se passerai sul water i prossimi 4 giorni; quando pensando di non essere visto alzi la macchina fotografica su un gruppo di meccanici seduti davanti a un tavolino pieno di carte da gioco e quelli ti guardano dritto negli occhi attraverso l'obiettivo.Su una porta della sala medica del reparto di chirurgia, qui al Lacor Hospital, c'è un poster giallo scritto fitto fitto. E' un luogo di passaggio, dove i pazienti attendono per ore non si sa bene cosa e le infermiere vanno avanti e indietro più o meno indaffarate. Dal corridoio che costeggia il cortile principale si riconosce solo una parola, scritta in cima a grossi caratteri rossi: E-B-O-L-A.Si tratta solo di una lista di comportamenti da tenere in presenza di casi sospetti, simile a quelle diffuse via mail dalle nostre ASL. Sembra appiccicato lì da molto tempo, uno degli angoli si sta staccando e, se qualcuno non correrà ai ripari con un pezzo di scotch, entro un paio di settimane cadrà a terra, improvvisamente. Qui il dannato virus non compare da anni e, raccontano, la popolazione locale è particolarmente sensibilizzata ed attenta, così come i medici ugandesi, in passato spesso in prima linea in quelle epidemie che si consumavano lontano dai riflettori dei mass media.Diario africano/6 - Che paura
Da qui la città, un grumo disarmonico e confusionario di case alte un piano, è un miraggio lontano 7 Km, di strada sterrata e senza segnaletica.La gente si muove grazie ai Boda Boda, motociclette del secolo scorso riadattate a taxi per 2 o tre persone alla volta. Si contratta il prezzo, si monta in sella abbracciando uno sconosciuto e ci si prepara a mangiare la polvere dei fuoristrada per una ventina di minuti. Il casco, a Gulu, è quello delle banane. La parola più gettonata dai muzungu (letteralmente "uomo bianco"), senza dubbio, è mot. Significa "vai piano per favore, perchè se prendi una di queste buche a 40 Km/h e cadiamo rovinosamente a terra stracciandoci vestiti e muscoli non c'è chirurgo o santone che possa salvarci da una morte dolorosa e terribile"; solo un po' più stringato.Quando cala il sole e i motori incolonnati sulla strada accendono le loro luci sembra di essere dalle nostre parti quando cala la nebbia, in autunno. Tutto diventa confuso e invisibile e si procede quasi a tentoni nel traffico assordante. Un piccolo tragitto diventa un atto di fede.
Sento un tonfo sordo tra tanti, il cassone di un camion su uno di questi dossi artificiali creati ad hoc per rallentare il traffico - penso; mi giro cercando la luce della moto che sta portando le mie colleghe e non vedo più nulla. L'ultimo kilometro e sgorgo finalmente la sagoma dei tank, sospesi in alto con la scritta dell'ospedale che segna l'arrivo alla meta. Ormai è decisamente buio, sono coperto di terra rossa e preoccupato. Stringo la borsa con i soldi che ho appena prelevato allo sportello, l'unico funzionante con le carte europee, e guardo verso un orizzonte che è profondo solo un centinaio di metri.Laura e Paola camminano a piedi nella mia direzione, a bordo della strada."E' finita la benzina", ridono.
Ieri sera abbiamo mangiato le crepes con la Nutella, oggi non ha piovuto e questa sera, dopo una settimana, è atterrata nella mia camera la mia seconda valigia, che attendeva un  trasporto sicuro sino a qui dalla foresteria di Kampala. Dentro c'è anche uno scatolone con dei pezzi di ricambio per il laboratorio dell'ospedale, che domani potranno essere sostituiti. Tutto sotto controllo, si può andare a dormire tranquilli, al riparo della zanzariera. 
Ah, nel frattempo ho trovato un dizionario: lworo. Paura, si dice lworo.

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

Magazine