Sabato 18 Ottobre 2014, Xian
Sveglia antelucana, oggi: si deve fare colazione in albergo e, subito dopo, ci trasferiamo in aeroporto per prendere un volo interno verso Pechino (Beijing, la capitale del nord), la nostra nuova (e penultima) tappa in Cina.
Dopo appena due ore facciamo scalo a Pechino dove ci attende la nuova guida locale, un simpatico e pacioso giovanotto che, una volta saliti sul pullman dell’agenzia, parlando un buon italiano, ci informa a grandi linee sulle caratteristiche salienti e curiose della sua città (75.000 taxi, un numero spropositato di auto per 20 milioni di abitanti, bici e motorini ancora in grande spolvero) e ci accompagna subito al Tempio dei Lama, prima visita in programma nella mattinata. Il nome cinese del tempio, in realtà, è Yonghegong che significa Palazzo della pace per Yong. Il tempio, come vedrete, è gremito di fedeli e di turisti, perciò tutti abbiamo difficoltà a fotografare ciò che più colpisce i nostri occhi, ma la folla sarà l’esasperante costante di tutti i luoghi importanti che vedremo a Pechino. La stagione è buona, quindi c’è molto turismo interno ed estero e tutti, al pari di noi, hanno in mano macchine fotografiche, videocamere e telefonini. Bisogna portare pazienza e cercare di sfruttare i brevi istanti di respiro tra una bordata e l’altra di gruppi di turisti. Questo lo dico per segnalarvi che questa volta molte immagini non sono originali ma le ho scaricate da Internet per darvi l’opportunità di apprezzare al meglio palazzi e monumenti di grande interesse storico. A Pechino si sono succedute diverse dinastie che hanno regnato per circa 800 anni, quindi è immaginabile che ci siano numerosi luoghi antichi degni di una visita e che abbiamo lottato, spesso invano, per non farci travolgere da orde scatenate di gente che, come noi, vuole vedere e fotografare tutto… ma proprio tutto. Ultima informazione generale: nelle vicinanze della città, è stato ritrovato l’Homo Pechinensis nato circa 700.000 anni fa in Cina.
La mappa del Tempio dei Lama, scovata su Internet, è questa:
Come si vede, si tratta di una notevole infilata di giardini, palazzi, padiglioni che per visitarli con cura ci vorrebbero giornate intere, mentre noi ce la dobbiamo sbrigare in poche ore… Trotta, trotta cavallino!
Chi ama approfondire la conoscenza di questo bellissimo tempio buddista tibetano clicchi sul seguente link. Per colpa della bolgia umana che spingeva alle spalle, delle tre meraviglie citate nell’articolo, ho potuto ammirare e fotografare con calma solo la famosa statua di Maitreya in legno di sandalo bianco. La statua ha un’altezza di 26 metri, di cui 8 sotterranei e 18 in superficie, un diametro di 8 metri e un peso totale di circa 100 tonnellate, costituendo la maggiore statua del mondo ricavata da un unico tronco d’albero. Wow!
La seconda è il Monte dei 500 Arhat, un’enorme scultura situata nella sala posteriore del palazzo Falun (della ruota della legge). Alta circa 4 metri e larga più di 3, è scolpita con raffinatezza in legno di sandalo rosso. Visto da lontano, il monte presenta foreste rigogliose, valli profonde, pini frondosi, pagode delicate, padiglioni antichi, grotte artistiche, sentieri panoramici, gradini di pietra, ponti e ruscelli sottostanti. Visto da vicino, si può apprezzare la tecnica scultorea di altissimo pregio, con una grande armonia strutturale di vuoti e pieni. I 500 Arhat (esseri umani degni di venerazione) avanzano lungo il pendio del monte e, anche se di piccole dimensioni, si presentano raffinati e vivaci, con mille espressioni, vere gemme di plastica e scultura. Sfortunatamente, per via delle vicissitudini storiche, sul monte ora ne sono rimasti solo 449.
La terza è il Budda di sandalo visibile nel palazzo della Luce del Budda. Si tratta di una statua di Sakyamuni dal corpo in bronzo alle cui spalle c’è una struttura arcuata tipo paravento. La statua e la nicchia sono scolpite in prezioso legno Nanmu con una tecnica speciale. La nicchia raggiunge la cima dell’edificio, occupando lo spazio di due piani, ed è suddivisa in tre piani interni ed esterni. La nicchia è retta da due colonne dorate a forma di drago serpeggiante, mentre le travi orizzontali sono ricoperte da una lamina d’oro, con scolpiti 99 draghi in diversi atteggiamenti, rivelando anche qui una tecnica scultorea impareggiabile.
Ho cercato su internet delle immagini sia del Monte dei 500 Arhat sia del Budda di sandalo, ma non ne ho trovate. Forse ciò dipende dal fatto che spesso c’è la proibizione di fotografare soggetti sacri, oppure c’è troppa folla davanti e le foto vengono male.
La mattinata termina qui.
Dopo un veloce pranzo in un ristorante con il solito menù turistico, ci mettiamo in moto per la successiva visita della giornata: la Città Proibita.
Osservando questa immagine aerea si ha un’idea delle dimensioni di quella che è una vera e propria città contornata da alte mura, dove si susseguono, alla classica maniera cinese, enormi costruzioni a pagoda, grandi cortili, templi e quant’altro serviva alla vita giornaliera dell’imperatore. Le alte mura oltre a difendere la corte imperiale avevano lo scopo di nascondere la città alla vista del popolo a cui non era permesso di avvicinarsi: se di passaggio nelle vicinanze, uomini e donne erano obbligati a tenere gli occhi bassi.
Queste sono belle foto ma, se desiderate immergervi tra la folla che spinge alle spalle, o che è in posa per un selfie o che sta girando un video, non vi resta che guardare il filmato che completa il post. Non mancano i due classici leoni a protezione dell’ingresso al padiglione principale della città.
Il Palazzo imperiale (Gugong), chiamato anche Palazzo d’Inverno o Città Proibita, è uno dei principali monumenti del Paese di mezzo, poiché rappresenta un simbolo della Cina tradizionale e, allo stesso tempo, il massimo capolavoro in buono stato di conservazione dell’architettura classica cinese.
La città proibita presenta una pianta simmetrica e copre una superficie di 720.000 mq. È circondata da un corso d’acqua largo 50 m e da un muro alto 10,4 m, munito a ciascun angolo di una torre di guardia. II complesso è costituito da due settori distinti: uno esterno, i cui edifici erano destinati agli incontri politici e alle cerimonie, e uno interno, riservato alla famiglia imperiale e al suo seguito. I sei edifici maggiori si allineano lungo un asse principale orientato secondo la direzione nord-sud e sono affiancati da numerosi porticati e altri palazzi, disposti lungo le coordinate. Il complesso comprende oltre novemila vani, mentre i materiali da costruzione predominanti sono il legno e le mattonelle invetriate gialle (il giallo era il colore imperiale). La storia del Palazzo imperiale inizia nel XIII secolo, allorché la casa regnante degli Yuan si stabilì a Pechino facendovi erigere la propria residenza. L’imperatore Yongle della dinastia Ming, dopo la conquista del potere, rifiutò di insediare la propria capitale a Nanchino preferendole Pechino, dove fece ampliare il Palazzo imperiale che, nel 1420, a lavori ultimati, aveva così ormai acquisito l’aspetto odierno. Nei secoli seguenti, esso fu la residenza dei ventiquattro imperatori Ming e Qing sino al 1911.
Queste note storiche le ho tratte dal sito Il Portale della Cina. Cliccando con il mouse sulla scritta in rosso potete approfondire la conoscenza di questo luogo visitato ogni anno da milioni di turisti interni ed esteri.
Una curiosità me l’ha tolta la guida quando gli ho chiesto perché non c’erano quasi alberi nei vari cortili della città: “Semplice.” mi ha risposto “Per impedire possibili agguati all’imperatore…”. Gli alberi si trovano nella parte finale della città o all’esterno delle mura dove, ovviamente, lui non andava mai.
Finita l’esplorazione della città proibita è quasi sera. Le due visite effettuate durante la giornata sono state decisamente impegnative: abbiamo camminato parecchio e sono così stanco della folla che m’impediva sia di vedere sia di fotografare che non ricordo nemmeno se abbiamo mangiato in un ristorante appena fuori dalla città proibita o in albergo. A proposito, l’Hotel King Grand che ci ospita è un cinque stelle mega-super-galattico in cui occorre una cartina topografica dettagliata per orientarsi cercando la propria camera e un portafoglio gonfio di yuan, caso mai ci venisse sete. Per fortuna dormiremo qui solo due notti.
Di sicuro, nel nostro primo giorno a Pechino, dopo avere cenato, siamo andati subito a nanna e non ci siamo spinti a dare un’occhiata fuori dall’albergo, però una foto della città by night voglio lo stesso regalarvela:
Alla prossima!
Nicola
Crediti: le foto sono di Mirella & Giorgio II°, Giorgio I° e Chicca. Parecchie immagini le ho scaricate da Internet. Il filmato è mio. Nella colonna sonora di sottofondo presento uno stralcio del concerto Butterfly Lovers con la grande violinista Yu Lina e, in seguito, il brano che introduce il film “L’ultimo imperatore” di Bernardo Bertolucci girato proprio nella città proibita. La storiografia dei luoghi descritti in questa puntata, l’ho ricavata da testi di cui, nel post, ho dato i riferimenti.