Hong Kong
Signori, si parte!
Il nostro viaggio inizia a Hong Kong, anche se questa tappa, in verità, non fa parte dei classici itinerari in Cina previsti nelle brochure delle agenzie di viaggio. Per potere visitare questa città, infatti, abbiamo dovuto insistere parecchio con il nostro tour operator per inserirla nel programma di viaggio. C’è una ragione.
Solo dal 1997 il territorio su cui sorge Hong Kong è tornato alla Cina: da parecchi anni sulla città sventolava la bandiera britannica e inglese era il governo. I suoi abitanti si erano così assuefatti a tale condizione che ancora oggi, se si chiede ai cinesi di Hong Kong di commentare il fatto di essere tornati sotto la stella rossa, si guardano in giro per controllare se qualcuno li ascolta e poi ti rispondono che non sono affatto contenti. L’autonomia di cui hanno goduto per 100 anni non è facile da dimenticare.
Hong Kong, inoltre, ha una sua moneta (il dollaro di Hong Kong) valida solo qui e non è accettata in Cina, e ha una sua lingua (il cantonese) o l’inglese. Se un cinese di Pechino e un cinese di Hong Kong s’incontrano è molto probabile che non si capiscano: è come fare incontrare un bergamasco e un siciliano che parlano solo i rispettivi dialetti…
Ecco perché, ancora oggi, i tour in Cina escludono Hong Kong.La città si estende in parte su una penisola (Kowloon Peninsula) di 46 kmq. e in parte su un’isola (Victoria): i collegamenti sono stabiliti da efficienti traghetti e da diversi tunnel sottomarini predisposti sia per le auto che per la ferrovia.
Arrivati in aeroporto, ad attenderci c’è una simpatica guida italiano-parlante e un bus che ci porta nello sciccoso albergo Regal Kowloon Metropark:
Depositati i bagagli in camera, è quasi ora di cena. Anche se siamo tutti stanchissimi per la doppia trasferta in aereo (Milano-Dubai e Dubai-Hong Kong) decidiamo di fare una passeggiata per un primo assaggio della città e anche per scegliere un posto alla buona dove cenare. Sotto potete vedere la Hong Kong notturna che abbiamo incontrato passeggiando vicino all’albergo e salendo, poi, su una sopraelevata con vista mare:
Quest’ultima magica foto l’ho scaricata da Wikipedia ma anche le precedenti, fatte da noi quella sera, sono altrettanto speciali. Molte altre le vedrete nei filmati.
Per quanto riguarda il luogo dove cenare, ci mettiamo poco a trovarlo. Di fronte all’albergo c’è una grande piazza con fontana, panchine, negozi aperti fino a tardi e una serie di bar-trattorie con tavolini all’aperto. La temperatura è deliziosa, non fa né caldo né freddo. Anche se è il 9 di Ottobre, qui l’estate non è ancora finita. Decidiamo di sederci dove c’è più gente ai tavoli, il che, spesso, significa che è il posto migliore per varietà e qualità dei cibi. Qui ci scontriamo, per la prima volta, con menù scritti in cantonese e tradotti malamente in inglese. Come abbiamo fatto a scegliere cosa mangiare? La cameriera non capisce una parola né d’inglese né di qualsiasi altra lingua, però è simpatica e collaborativa. Per rispondere alle domande gestuali sulle varie portate scritte sul menù, mi prende per mano e mi indica sui tavoli vicini la corrispondente portata. Su questa base, tra una risata e l’altra, facciamo le nostre “oculate” scelte. Devo dire che a me non è andata malissimo: quello che non mi piace lo passo a Chicca e lei mi cede un po’ di ciò che ha ordinato lei, pensando che possa essere di mio gradimento. Già dalla prima sera scopriamo che a Hong Kong (e in tutta la Cina) non esiste acqua minerale con le bollicine e così, da questo momento in poi, abbiamo sempre bevuto birra.
Tornati in albergo ci addormentiamo non perché abbiamo sonno (in Italia è ancora pieno giorno) ma perché siamo stanchi. L’unico problema è l’aria condizionata: se la spegni muori dal caldo sotto il pesante copriletto, se la lasci accesa e per caso di notte ti scopri, sono guai. Raffreddore assicurato. Il mattino seguente (è venerdì 10 Ottobre) sveglia alle ore 7. La guida è arrivata presto in albergo e ci lascia giusto il tempo per fare una ricca colazione al self service dell’hotel e poi, col bus andiamo sull’isola per raggiungere il Victoria Peak da dove si può ammirare la bellezza, il fascino e le dimensioni di questa metropoli. Si può raggiungere questo luogo panoramico anche con un tram o con la funicolare.
Sul Victoria Peak, oltre alla stupenda vista, c’è The Peak Gallery, una scenica costruzione con, all’interno, bar, negozi, attrazioni varie e qui, molta gente – turisti e non – vengono a passare una serata in allegria.
In seguito, con il bus, raggiungiamo Repulse Bay, una grande insenatura con sabbia riportata. In passato questa baia fu luogo molto amato dai pirati; durante la seconda guerra mondiale fu una locazione strategica nella “Battaglia di Hong Kong”; oggi è una località turistica parecchio frequentata. La baia è arricchita, nell’entroterra, da palazzi avveniristici (tra cui il curioso Palazzo col buco), da giardini, da templi con vistose statue variopinte e da un ponte (Longevity Bridge) dove tutti ci facciamo fotografare sperando in una lunga, prosperosa vita.
Ponte della longevità
Palazzo col buco
Lasciata Repulse Bay, la mattinata termina con la visita ad Aberdeen, un’area urbana, situata sulla costa meridionale dell’isola di Hong Kong, famosa per il suo porto e per un antico villaggio di pescatori che da sempre vivono e lavorano su giunche e barche. Intravvediamo il villaggio salendo su un piccolo battello con cui percorriamo un breve tratto di mare. Lungo il tragitto possiamo osservare la parte moderna e ricca della città che si affaccia sulla baia in stridente contrasto con quel modesto mondo di esseri umani che al benessere, forse, non arriverà mai.
Un’attrattiva turistica della zona è il grandioso e variopinto ristorante galleggiante (Jumbo Floating Restaurant):
Ma non è tutto oro ciò che luccica. Il retro del ristorante – triste rovescio della medaglia – è questo: decisamente fatiscente.
Verso l’una, una volta tornati in albergo, la guida ci lascia e la rivedremo domenica mattina per accompagnarci con il bus in aeroporto, al termine della nostra permanenza a Hong Kong. Abbiamo a disposizione ancora un giorno e mezzo per visitare la città, da soli. Assumono il comando Sergio e Barbara, due globetrotter del gruppo che non conoscono la parola “stanchezza”. Infatti, subito dopo avere velocemente pranzato in un bistrot di una nota catena francese e avere gustato dei panini alla maniera europea, corriamo a prendere una delle tante ed efficienti metropolitane con destinazione il Monastero ChinLiNunnery:
Anche il giardino annesso al monastero è tutto da ammirare:
Con queste splendide immagini nella mente, sempre in metrò, torniamo in albergo. Un veloce cambio d’abito e poi di nuovo in marcia perché dobbiamo raggiungere il Tim Ho Wan, un tipico ristorante cinese che vanta una buona quotazione sulla guida Michelin ed era stato consigliato caldamente a Sergio anche da un collega che l’anno prima era stato a Hong Kong.
Facciamo fatica a trovarlo perché i pochi passanti che incontriamo non parlano inglese e quelli che lo parlano non conoscono quel locale. Arrivati, in qualche maniera, a destinazione, il primo impatto non è dei migliori. Il ristorante è pieno zeppo di avventori cinesi e, benché avessimo prenotato per 16 persone, non c’è un tavolo libero neanche a pagarlo a peso d’oro. Sergio, che parla inglese meglio di tutti noi, protesta a gran voce, ma tutto ciò che ottiene è un sorrisino ebete da parte delle cameriere che, in tutta evidenza, non capiscono una parola di quello che lui sta dicendo. Stiamo per rinunciare quando arriva un giovanotto (forse il titolare del locale) che ci fa capire di portare pazienza e che presto si libereranno due tavoli in una micro saletta senza finestre riservata ai clienti vip e dove il condizionatore ci spara addosso un’aria così gelida che dobbiamo tenerci addosso le giacche e i foulard.
Quando riusciamo a sederci ci portano subito delle tazzine che vengono riempite con del thè (tipo acqua calda colorata) e, in contemporanea, ci lasciano dei foglietti con l’elenco delle varie pietanze, ognuna delle quali ha dei quadratini a lato che noi dobbiamo segnare con una matita per indicare la nostra scelta nella quantità (piccola, media, grande) che desideriamo. Ovviamente non conosciamo nessuno dei piatti elencati e le cameriere non riescono a spiegarci, nel loro cantonese stretto, il contenuto delle diverse voci di menù. L’ordinazione quindi è una vera farsa: c’è chi decide di mettere delle crocette a caso sul proprio foglio e sperare che la scelta sia commestibile e non si tratti di vermi o serpenti arrostiti. Chicca e io, istruiti dalla cena in piazza della sera precedente, osserviamo i tavoli dove gli avventori hanno gli occhi a mandorla e segnaliamo alla cameriera che desideriamo le stesse cose che stanno mangiando con gusto alcune coppiette di giovani vestiti all’occidentale.
Non la faccio lunga, la cena è disastrosa quasi per tutti: ognuno di noi ha mangiato “cose” improbabili, mai assaggiate prima. Alcune, per fortuna, non erano mica male. Purtroppo in pochi abbiamo azzeccato le caselle con le quantità giuste per una cena sostanziosa, per cui le varie portate altro non erano che assaggi. L’unico momento positivo della serata accade quando ci consegnano il conto allegato ai foglietti-menù da noi compilati. Traducendo in euro il dollaro di Hong Kong, quelli che hanno mangiato poco hanno speso 4 euro, quelli che hanno mangiato di più, hanno sborsato 7 euro… a coppia! Fantastico!
Sergio si è ripromesso, al ritorno in patria, di scrivere una letteraccia ai responsabili della guida Michelin, sostenendo che non è possibile dare delle stelle a un ristorante dove nessuno parla l’inglese e dove non si sa cosa e quanto ordinare. Comunque, tutto è bene quel che finisce bene. Sul metrò, durante il viaggio di ritorno in albergo, abbiamo riso da matti, raccontando cosa, ognuno di noi, aveva creduto di ordinare e cosa, in realtà, era arrivato in tavola…
Una prima impressione su Hong Kong?
Temevamo di trovare una città in subbuglio per le recenti proteste presso la sede del governo da parte degli studenti che reclamavano più democrazia e per gli accesi scontri avvenuti fra anti-governativi e manifestanti filo-cinesi, invece la situazione in giro è tranquilla. La gente è cordiale, accogliente, molti parlano inglese e, se chiedi informazioni, non svicolano ma cercano di aiutarti. Girando per negozi abbiamo avuto conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, delle indubbie capacità commerciali dei cinesi: ti accolgono sempre con un sorriso e non si offendono se te ne vai senza acquistare nulla. Se sei veramente interessato a un oggetto, non ti mollano finché non si raggiunge un accordo sul prezzo che quasi mai è fisso. Loro sparano una cifra, tu dici subito di no e loro ti porgono una calcolatrice e ti invitano a digitare ciò che tu ritieni giusto. In genere l’accordo avviene attorno al 40% – 50% di sconto sul prezzo di partenza. Con i venditori ambulanti si può arrivare fino all’80% ma, in questo caso, state certi che l’oggetto è farlocco…
Bene, per oggi può bastare. Arrivederci alla prossima puntata dove descriverò la seconda e ultima giornata passata a Hong Kong.
Nicola
Crediti: le foto sono di Mirella & Giorgio I°, Barbara & Sergio, Giorgio II° e Chicca. Qualche immagine l’ho scaricata da Internet. Il filmato è mio, la colonna sonora di accompagnamento, a parte una canzone, è in lingua cinese… quindi non mi assumo la responsabilità di ciò che cantano…