Guilin, Lunedì 13 Ottobre 2014, dopo cena.
La giornata è stata pesante, eppure il gruppo di amici-mai stanchi ci convince di partecipare a una crociera notturna che affronterà i quattro laghi di Guilin. Come sempre avevano ragione loro: in effetti, valeva la pena di fare anche quest’esperienza. Il percorso è delimitato da luci di mille colori che pitturano l’acqua di riflessi magici e ci regala incontri speciali: coreografici spettacoli di danza (rievocazioni di antiche battaglie contro draghi o armate nemiche), cantanti pop che interpretano canzoni americane del momento, ma soprattutto, offre in presa diretta la crudele pesca col cormorano.
Vi invito caldamente a guardate il filmato che ho girato in quell’occasione: anche se l’illuminazione non era delle migliori e la mia videocamera di notte è ben poco efficiente, vi renderete conto di come il padre-pescatore ha istruito con opportuni e urlati comandi vocali i propri figli-uccelli alla pesca. Vedrete come gli ubbidienti volatili si buttano in acqua, come risalgono sulla barca e si assoggettano al rito violento dell’estrazione del pesce appena pescato dalla loro povera gola strozzata alla fine del collo da un anello che impedisce loro di inghiottire qualsiasi preda catturata. Su Internet ho trovato una splendida immagine del cormorano che ha pescato un’anguilla e un’antica foto di un pescatore che torna al suo villaggio con una coppia di cormorani appollaiati sul bastone da lui utilizzato, senza troppi complimenti, per convincerli a buttarsi in acqua per compiere il loro duro lavoro. Sono convinto che tra il pescatore e i propri uccelli si stabilisca un rapporto di amore-odio (più amore che odio) che dura tutta la vita: difatti, seppure fortemente vessati, i cormorani non scappano mai dal loro padre-padrone e non necessitano di essere legati con corde o guinzagli a fine giornata.
Ecco un paio di immagini scattate durante la crociera notturna sui quattro laghi di Guilin: la casa di cristallo e le pagode gemelle.
Nel viaggio di ritorno al porticciolo d’imbarco, una giovane (e molto carina) suonatrice di flauto ci allieta con diversi brani studiati apposta per soddisfare i clienti di varie nazionalità presenti sul battello. Per noi ha suonato il classico O sole mio, ovviamente. Terminata la crociera lacustre si va tutti a nanna; l’indomani sarà un’altra dura giornata che, dulcis in fundo, comprende un nuovo trasferimento in aereo verso la terza tappa del nostro tour.
Guilin, Martedì 14 Ottobre 2014. Per inciso oggi è il compleanno di mia moglie Chicca.
Il programma prevede di caricare le valige sul bus e, prima di andare in aeroporto, di dare una veloce occhiata a due famose colline e, tra una visita e l’altra, di pranzare in un buon ristorante nella via pedonabile più elegante di Guilin. La prima bizzarra altura ha un nome lunghissimo: la collina della proboscide dell’elefante e rappresenta il simbolo più noto di Guilin:
Il panorama è da mozzafiato. Infatti, intorno a me è tutto uno scattare di foto e di filmini con le videocamere. Anch’io non mi sottraggo al rito collettivo della ricerca dei punti più belli da immortalare. Da qui, a piedi, ci spostiamo in un parco vicino dove è possibile ammirare le tante sculture moderne di autori vari che illustrano i classici momenti della vita di una coppia (dall’innamoramento, al fidanzamento, al sesso all’aria aperta e, infine, al matrimonio con scene di una felice famiglia con bambini).
Esplorato il parco in lungo e in largo è quasi ora di pranzo. Ci avviamo verso la lussuosa via pedonabile di Guilin: qui troviamo folle di turisti attratti dai tanti negozi di pregio alternati a eleganti ristoranti. Incuriosisce l’occhio un ristorante con una bacheca dove sono esposti “a chiare lettere” i menù che si possono scegliere… per uno che sa il cinese, ovvio. Fatta la scelta, si ritira la tavoletta e la si porta all’interno del ristorante.
Non appena entriamo in questa prestigiosa strada pedonabile avviene qualcosa che mai avrei pensato che capitasse a me: perdo il contatto con il gruppo. In meno di un batter di ciglia, mi ritrovo dimenticato in un paese straniero, senza un soldo in tasca, senza telefono, senza conoscere una parola della lingua del luogo, senza avere con me la brochure con il nome dell’albergo lasciato in mattinata e senza ricordare il nome cinese della collina bizzarra che dovevamo ancora visitare, né dove è parcheggiato il bus e nemmeno qual è il nome del ristorante a cui eravamo diretti. Rimasto solo con me stesso e la mia stupidità entro subito in confusione.
Anche volendo contattare un poliziotto cosa potrei chiedergli? “Vengo dall’Italia e mi sono perso. Non so dove è diretto il mio gruppo, può aiutarmi a ritrovarlo?” Avrei fatto la figura del cretino patentato. Per qualche istante vedo un buco nero nel mio futuro: davanti a me non c’è che un’alternativa: adattarmi a imparare il cinese, trovare in fretta un lavoro e cambiare per chissà quanto tempo le mie comode abitudini di vita…
Quel momento, per fortuna, dura poco, la razionalità riprende possesso del mio cervello andato in panne: presto, prestissimo, il gruppo, moglie compresa, si accorgerà che all’appello manca una persona e tutti – preoccupati – si precipiteranno a cercarmi, mi ritroveranno subito e l’incidente si concluderà con una crassa risata generale. Per permettere loro un mio rapido “ricupero” decido saggiamente di non allontanarmi troppo dal luogo dove mi sono perso. Una cinquantina di metri davanti a me vedo un incrocio con al centro una pagoda da cui è possibile tenere d’occhio i quattro punti cardinali. Corro lì e mi metto a girare in tondo, pronto a lanciare un segnale al primo del gruppo che noterò in lontananza. Passano inesorabili i minuti, ma nessuno compare all’orizzonte: comincio a sudare freddo e a dare segni di squilibrio mentale. In effetti non devo avere un comportamento del tutto normale perché un poliziotto mi sta fissando da un po’: forse sta pensando che sono un avvinazzato da tenere sotto controllo. Per rassicurarlo lo guardo anch’io e gli sorrido: lui si tranquillizza e si volta da un’altra parte.
Quando sono sul punto di dar fuori di matto (sto sotto la pagoda da un quarto d’ora buono…) in lontananza intravedo mia moglie nello stesso identico punto dove avevo perso contatto con il gruppo. Sollevo entrambe le braccia e mi dirigo verso di lei. La mia disavventura si conclude. Senza volerlo ho imparato, a mie spese, quanto sia veritiera l’espressione “passare un brutto quarto d’ora”…
Prima domanda: come è potuto capitare un simile accidente? Guardando il filmato girato quel giorno, novello Sherlock Holmes, ho potuto ricostruire tutta la vicenda. Se avete un attimo di pazienza vi spiego l’arcano:
“Siamo entrati da poco nella famosa via pedonabile di Guilin, stiamo guardandoci intorno; io e mia moglie siamo gli ultimi del gruppo che, con la guida in testa, sta affrontando, alla nostra sinistra, i primi gradini di una scala esterna che conduce a un ristorante al primo piano di una costruzione a tre/quattro metri da noi. Mia moglie si stacca da me e segue il gruppo che sta velocemente abbandonando la strada. Io, affascinato da ciò che c’è in giro, non mi accorgo di questo cambio di direzione del gruppo, accendo la videocamera e mi metto a fare una lenta ripresa a 360 gradi dei negozi, delle insegne e della gente che cammina allegramente per la via. Quando spengo la videocamera, tutto il gruppo, moglie compresa, è sparito all’interno del ristorante. Il grossolano errore, dunque, è da imputare non alla mia disattenzione, ma alla guida bruttina che, invece di chiudere la fila e controllare – come si fa di solito – se manca qualcuno, è salita per prima nel ristorante, lasciandomi così nei pasticci.”
Seconda domanda: perché ci hanno messo tanto a scoprire la mia assenza?
“Semplice. Appena entrati nel ristorante uno del gruppo è subito andato al bar a ordinare una bottiglia di buon vino frizzante (non credo che avessero dello champagne a disposizione…) e poi, tutti in piedi, si sono messi a brindare alla salute di mia moglie Chicca che, proprio quel giorno, festeggiava il compleanno. Solo quando si sono seduti per pranzare si sono accorti che una sedia, la mia, era vuota. Per prima cosa sono andati a vedere se ero in bagno (a qualcuno era già successo di assentarsi per parecchio tempo in un luogo di decenza per problemi di “squaraus” (anche detta sbarabaus o vendetta di Montezuma o corsetta, alla milanese…). Visto che non rispondevo all’appello, solo allora hanno realizzato che, forse, mi ero perso da qualche altra parte…”
Una volta rientrato nel gruppo ed essermi beccato una giusta lavata di capo da parte di mia moglie (ahimè, le avevo rovinato la ricorrenza del suo compleanno), la guida, capita la grave manchevolezza commessa, è venuta da me a scusarsi, inchinando il capo con quell’umiltà disarmante, tutta cinese, che mi ha distolto dal mio evidentissimo desiderio di appenderla a una delle tante lanterne rosse presenti nel ristorante.
Tutto è bene quel che finisce bene. Però, nel prosieguo del viaggio, ho messo in atto tutti gli accorgimenti possibili per non perdermi di nuovo. E ho avuto fortuna. Comunque per il prossimo tour in terra straniera mi procurerò un bel filo di Arianna, sperando di trovarlo in giro…
Finito il pranzo (giuro, non ricordo assolutamente cosa abbiamo mangiato!) ci siamo diretti verso la seconda e ultima tappa del nostro soggiorno a Guilin: Fubo shan, la collina di Fubo.
La collina prende il nome da un famoso generale; si eleva nel centro di Guilin, offrendo dalla sua sommità una vista davvero spettacolare. Proprio sotto questa collina si trova la Grotta della Perla Restituita:
La leggenda racconta di un pescatore che tanto tempo fa rubò la perla che apparteneva al drago che viveva nella caverna. Più tardi, sopraffatto dal rimorso, il pescatore restituì la perla e, da allora, pescò felicemente in abbondanza. Per lodare la sua onestà la gente chiamò la grotta "della Perla Restituita". Qui una gigantesca stalattite partendo dal soffitto arriva a soli 2 cm da terra: qualche coraggioso si sdraia lì vicino e, incurante del pericolo, arriva persino a metterci la mano sotto…
Nella grotta ci sono, incise sulla roccia, più di 100 iscrizioni storiche e 250 statue, per la maggior partesi tratta di opere risalenti alle dinastie Tang e Song. I pezzi migliori sono considerati l’autoritratto di Mi Fu, un famoso pittore della dinastia Song, e il “Poema del Banchetto” di Fan Chengda, un noto poeta della stessa dinastia. All’entrata della grotta si trova un’enorme marmitta in ferro del peso di 2500 kg, fusa 300 anni fa nell’8° anno di regno dell’imperatore Qing Kangxi:
I locali vendono dipinti e rubbings (riproduzioni su carta ottenute mediante sfregamento) tratti dalle pareti della caverna. La cima della collina Fubo, alta 73 metri, si raggiunge salendo 324 gradini e da lì è possibile osservare la città dall’alto e ammirare, se non c’è foschia, anche altre bizzarre alture.
Con questa bella immagine prendiamo congedo da Guilin:
In aeroporto ci attende un nuovo volo interno che ci porterà a Chengdu, terza tappa del nostro tour in Cina.
Nicola
Crediti: le foto sono di Mirella & Giorgio II°, Barbara & Sergio, Giorgio I° e Chicca. Qualche immagine l’ho scaricata da Internet. Alcune informazioni storiche le ho ricavate da Wikipedia. Il filmato è mio.