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Diario di viaggio: Arrivo ad Istanbul

Da Cultura Salentina

di Lorenzo De Donno

Veduta della piazza dell'ippodromo di Costantinopoli con cavalli e cavalieri in primo piano; sullo sfondo obelischi e la Moschea Blu avvolti nella luce del tramonto

Ippolito Caffi: Costantinopoli, (Olio su tela, 82 cm x 51 cm)

L’alba schiarisce il cielo fino a renderlo del colore del ghiaccio sulla linea dell’orizzonte più orientale. Il mare di Marmara è un piccolo mare, quasi circolare, un mare strano, dai colori cupi, appena increspato da una brezza di provenienza indefinita, come se fosse percorso da brividi di freddo o forse di dolore, mentre la nave, implacabile nella sua spinta, ne lacera la superficie con un solco profondo, bordato di schiuma.

Nonostante sia già più chiaro, osservo ancora, su tutta la mia visuale, le luci di città e villaggi lungo la costa. Qualche ora prima, il passaggio dai Dardanelli è stato emozionante. Finita in fretta la cena, mentre imboccavamo lo stretto,  sono corso sul ponte più alto della nave, per avere la migliore  visibilità delle due rive. Ho visto specchiarsi sulle acque di quel budello di mare, ora a destra ora a sinistra, porticcioli e città brulicanti di luci, antiche fortezze e maestose mura. Alle spalle di questa fascia costiera antropizzata, ancora grappoli di luci sempre più in alto, sfumati e traballanti, variamente dislocati, e fasci di fari di auto che si inerpicavano o discendevano da montagne o colline solo immaginate.

Un uccello marino, in lontananza, sfiora il pelo dell’acqua, è un gabbiano e forse proviene dalle isole dei principi, la costa Turca è già delineata, ma ancora lontana.

Ora il grigio si stempera in una tonalità di violetto e poi di rosa, come solo certi bravi acquarellisti sanno rendere sulla loro carta da disegno: sapienti pennellate intrise di tanta acqua e solo di una punta di colore.

Era un esercizio che facevo da bambino per imparare a disegnare, ora è quasi una condanna quella che mi costringe ad analizzare mentalmente ciò che vedo, osservare le prospettive, scomporre le cose in figure geometriche, linee diritte o ricurve e colori. Tradurre un’immagine reale in un disegno ideale.

Ecco, quel mare lo avrei colorato di bistro molto diluito e, nella parte più chiara, laddove sarebbe spuntato presto il sole, ci avrei messo una punta di violetto ed una di rosso per farne proprio  quella sfumatura rosata

Alzo lo sguardo verso il cielo e mi accorgo che ora i gabbiani sono tanti. Non volano a caso, e non intrecciano le loro traiettorie come ho visto fare tante volte sul mare di Otranto. Sono in formazione, quasi perfetta, e scortano letteralmente la nave, volandole di fianco senza deviare, alla stessa velocità di questo immenso condominio viaggiante. Il primo lancia un grido e tutti lo seguono, ora la nostra “scorta volante” si fa anche sentire .

Già l’alba si tinge di arancio, rendendo il mare dorato ad oriente. Nella foschia si delineano le  sagome scure di navi da trasporto, molte sono alla fonda, altre si muovono molto lentamente, come vascelli fantasma , accompagnate dal sommesso battito del diesel. Alcune di esse i sono moderne e imponenti , altre vecchie e cariche di ruggine. Tutte attendono il permesso di attraversare il Bosforo.

Ancora qualche minuto di navigazione lentissima e finalmente Istanbul si delinea proprio dove il riflesso del sole che sorge rende il mare color oro. Impossibile da tradurre in un colore definito sulla mia tavolozza, allora il mio elaboratore mentale, finalmente, va in “tilt” e posso godermi, semplicemente, quest’immagine di finita bellezza,  mentre la frequenza cardiaca aumenta mano a mano che gli occhi mettono a fuoco.

Cupole e i minareti mi appaiono, come in un miraggio, ancora sfumati dalla nebbia del mattino. Ora posso vedere alla mia sinistra, chiaramente, il panorama fiabesco della zona europea della città. Immersa in un contesto di vegetazione inaspettata, ecco la Chiesa di Santa Sofia, sconsacrata dagli Ottomani ed ora Museo. E’ forse la più antica cattedrale esistente sulla terra, verrebbe d’istinto farsi la croce, meglio non farlo quando saremo a terra … Quella di fronte è la Moschea Blu, la cattedrale musulmana, con i suoi sei minareti, le splendide ceramiche policrome ed il suo immenso tappeto fiorito. Subito dopo, i padiglioni del Topkapi, il palazzo dei Sultani, la reggia meravigliosa da mille e una notte che ne custodisce i tesori.

Istanbul, vista dal mare, è proprio come te la immagini, come è nei libri di scuola, com’è  nelle fiabe della nostra infanzia, come è rappresentata nei vecchi film, come è descritta nei romanzi di Agatha Christie, come l’hanno vista i primi turisti occidentali che vi arrivavano con l’Orient Express, la cui stazione, ancora intatta e bellissima, è proprio a due passi dal porto.

Abbiamo già imboccato lo stretto del Bosforo e la nave inizia le manovre per l’attracco. Mano a mano che si avvicina all’approdo, il movimento di navi e battelli diventa frenetico. Intorno a noi il mare si traccia di scie bianche di motoscafi, vaporetti, traghetti che trasportano le auto da una riva all’altra dello stretto. Cominciano a sentirsi i rumori del traffico, il respiro della megalopoli. Sulla riva di destra c’è la zona asiatica della città, quella dove vivono oltre 10 milioni di abitanti, quella che non vedremo mai


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