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DIARIO INGLESE La neve a Windy Birmy

Creato il 22 maggio 2013 da Pupidizuccaro

di Donatella Piazza

Eccomi qui. È già trascorso un mese dalla prima puntata, dove vi ho raccontato la serie di fortunati eventi che mi ha portato a Birmingham. E cosi è trascorso anche il secondo mese qui a Birmy: io la chiamo affettuosamente così, ma qui la sentirete chiamare Brums.Windy Birmy, ebbene sì, ho scoperto che è una città ventosa. Del resto le mie origini sono a Bagheria, la porta del vento, ed il vento è destinato quindi a seguirmi in tutti i miei spostamenti.

DIARIO INGLESE La neve a Windy Birmy

È arrivata la primavera. Fin da piccoli ci insegnano che il 21 di marzo l’inverno si fa da parte: il freddo che ci ha costretti a casa o ad uscite più sporadiche si fa da parte per lasciare spazio alla colorata e fiorita primavera,  gli  animali escono dal letargo e con le camicette a fiori si va in campagna per un picnic. Immagine di altri tempi? Ebbene, il 21 di marzo, qui a Birmy è arrivata la neve. Ma non una leggera spolverata di fiocchetti bianchi, come da saluto ad una stagione che rivedremo tra qualche mese, ma una nevicata di quelle che in Inghilterra non si vedeva da decenni,  come titolavano i giornali accompagnando il titolo alle immagini delle principali città inglesi completamente imbiancate.

Così, come una gigante gomma bianca, ma un po’ più fredda e scivolosa, le lastre di ghiaccio hanno cancellato l’immagine retrò della primavera per qualcosa di innovativo.

Voglio comunque far crollare il mito che in Inghilterra il tempo è sempre grigio, cupo e che piove di continuo. Qualcuno mi ha anche detto che gli inglesi non guardano mai il cielo perché è sempre grigio. Io devo dire che non è vero: il sole ed il cielo azzurro illuminano le giornate. E la primavera, prima o poi, si impone anche qui con i suoi colori, i suoi fiori ed i suoi profumi. I parchi si riempiono di gente, anche se qui a Birmingham è usanza fare il picnic nelle piazze della città. Se vi capita di passare da Victoria Square, la piazza principale, intorno a mezzogiorno vedrete famiglie, gruppi di persone o anche singoli assaporare il loro pranzo riscaldati dal sole che ha deciso di risplendere in una giornata di primavera. Ma mentre buona parte degli italiani, azzardo un quasi tutti, avvolge i suoi panini nel tovagliolino di carta che poi trasuda olio, o nella tanto amata carta stagnola, l’inglese medio ripone il suo sandwich in un contenitore di plastica, quello che noi usiamo per conservare i cibi o per trasportare pietanze elaborate. Così il sandwich rimane integro e si evita l’effetto panino-sottiletta, o Kinder Brioss sbriciolato, che tutti abbiamo provato durante le nostre gite scolastiche. Anch’io ho comprato il mio contenitore, ed anch’io ho riposto il mio sandwich in esso. Anche questa è integrazione. Anche questo è sposare la cultura di un paese che mi sta accogliendo. Tutto comincia dalle piccole cose.

Come, ad esempio, la colazione inglese. È una delle prime cose che ci insegnano a conoscere quando la cultura britannica inizia a far parte della nostra vita alle scuole medie, per me e chi fa parte della mia o della precedente generazione, alle elementari per le nuove generazioni. Si sa, dopo averci insegnato che “the pen is on the table”, “the cat under the table” e che “London is the most important city of the United Kingdom”, arrivano il fish and chips e l’english breakfast. Uova, pancetta, fagioli, pomodori grigliati, salsicce. Deliziosi, innegabile, ma ogni cosa a suo tempo, o meglio, ogni cosa a sua fascia oraria. Ben vengano le nozze con la nuova cultura, anche gastronomica, ma spostiamo la fascia oraria. E così la buona colazione inglese diventa per me una deliziosa cena.

Per il resto, quando già il secondo mese ha preso vita, anche la lingua diventa più comprensibile. Perché l’inglese, come l’italiano, come tutte le lingue, porta con sè i diversi accenti. Come descrivere l’inglese parlato a Birmy? Vediamo… Prendete una mela, mettetela in bocca e provate a parlare. Ecco fatto.

Uno dei primi giorni di lavoro un cliente, allungando una banconota da venti sterline esclama: “ fava fava please”. Ho impiegato quei cinque o sei secondi a capire che fava era chiaramente five. Il cliente, evidentemente, voleva quattro fiches del valore di cinque sterline e non ortaggi da sgusciare.

E così anche la lingua pian piano diventa più comprensibile, le comunicazioni più fluide ma l’umorismo inglese ancora un po’ difficile da cogliere.

Il tavolo verde diventa più familiare e da lì dietro scruti con più familiarità questo ambiente del tutto sconosciuto fino a pochi mesi prima. Inizi a conoscere i clienti abituali e loro cominciano a conoscere te. Si arrabbiano, sorridono, ti chiedono come stai. Impari a conoscere le loro abitudini, il loro gioco, il loro colore preferito di fiches. I loro numeri fortunati che, sfortunatamente per loro, non lo sono sempre. E, ormai, non ti stranisce nemmeno più di tanto se entra un cliente che ha tra i capelli un pettine. Sì, un pettine. Cerchi di trattenerti perché un sorriso ti scappa, ma non ti stupisci più eccessivamente.

Sorrido quando vedo qualcuno che gioca per la prima volta ed ha addosso tutta l’emozione che accompagna una nuova esperienza. Quando decidono di coprire i numeri che ricordano i compleanni dei loro cari, sperando che il giorno  della nascita della sorella, del marito o del cugino Paul possa essere la loro scommessa vincente. E quando ti ringraziano perché “hai fatto uscire il loro numero” tu ci provi a spiegarlo, anche quando ti implorano di far uscire un numero, che la ruota e la pallina girano ed è il caso a scegliere il numero. Ma serve a poco. E’ tuo il merito o la colpa. E a volte magari ci speri che la pallina decida di tuffarsi in un numero particolare, ma la pallina fa il suo gioco e decide lei quando abbandonare la ruota. Quella pallina ogni giorno ha il potere di far felice qualcuno, ma anche di rattristarlo e renderlo cupo e arrabbiato.

Ma è il mondo del gioco, delle scommesse e del casinò.  E così, mentre scrivo questa seconda puntata, il cielo si è scurito, ed è iniziata la pioggia. Beh, siamo pur sempre in Inghilterra. Ho già pronto il mio ombrello trasparente: io il cielo voglio continuare a guardarlo, perché c’è sempre l’azzurro anche nel cielo più scuro. Prima, però, verso dalla moka italiana, che si è imposta su tutti nei trenta chili di bagaglio, un’altra tazza di espresso che accompagno ad uno dei favolosi biscotti inglesi al burro. Perché le tradizioni vanne mantenute, ma le nuove culture sposate. E, si sa, l’unione fa sempre la forza.


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