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DIARIO INGLESELa croupier col mare nel cuore

Creato il 21 marzo 2013 da Pupidizuccaro

di Donatella Piazza

DIARIO INGLESELa croupier col mare nel cuore
Tutti mi dicevano vedrai che prima o poi la ruota girerà. Una famosa canzone di Ligabue recita che quando sembra tutto fermo la tua ruota girerà. Ho aspettato che girasse, con la laurea in tasca come accessorio da nascondere perché per fare il biologo marino non è periodo e per fare un altro lavoro la laurea va nascosta. Così, tra la cuffia di un call center e le risposte alle migliaia di candidature sui portali del lavoro ormai perennemente aperti, ecco che un giorno ho deciso di ricominciare.

Ed è proprio a 31 anni suonati che la mia nuova vita comincia. Anni fa pensavo che una frase del tipo “non è mai troppo tardi” era un qualcosa da pronunciare quando i capelli si tingono di grigio e le rughe si impossessano di quello che un tempo era un qualcosa di liscio o roseo. E invece…

È stato un giorno qualsiasi di luglio, di quei luglio dove a Palermo fa così caldo che sfogliare le pagine di un quotidiano diventa informazione mista a refrigerio. In questo fresco quotidiano scopro che a Palermo c’è la fabbrica dei croupier. Solitamente alla parola croupier segue una faccia interrogativa, di quella con uno dei due occhi mezzo chiuso, e poi i più audaci azzardano un “Aspetta, di preciso cosa fa un croupier?” Ovviamente una buona fetta sa cosa è un croupier e nell’ordine commenta come segue: miii figo, come i film di James Bond; ma allora poi scopri il modo per vincere e ce lo dici e facciamo un sacco di soldi; ma non sarà pericoloso? Riporto quanto detto in precedenza solo dopo uno studio compiuto in una popolazione con fascia di età compresa tra i 20 e i 70 anni e di diversa estrazione sociale.

Ebbene, semplicemente un croupier, o dealer, lavora in un casinò, sta dietro un tavolo verde e “offre” al cliente il servizio del gioco. Roulette, black jack, poker three card. Sorride, sempre educato, ben tirato e sa essere gentile e paziente anche con il cliente arrabbiato. Si sa al gioco si vince e si perde e se tu offri qualcosa sarai sempre responsabile del servizio offerto. E se la pallina gira, sei stata tu a lanciarla e sei stato tu a distribuire le carte vincenti o perdenti che siano. Come un fruttivendolo che vende la sua frutta non è stato lui a produrla ma ne è responsabile della vendita.

E così inizia la mia avventura: visto che la ruota non girava, ho deciso che l’avrei fatta girare io, quella della roulette; visto che la vita è fatta di scale io ho deciso di affidarmi a quella reale, in tutti i sensi. Sarà la patria di Sua Maestà Elisabetta II di Inghilterra, e uno dei centinaia di casinò che affollano la Gran Bretagna, a darmi asilo.

DIARIO INGLESELa croupier col mare nel cuore
Mi iscrivo all’International Croupier Courses di Christine Chilton, famoso per aver sfornato migliaia di croupier che affollano il Regno Unito. Dopo mesi impari a spingere, tagliare, passare, contare le chips… non chiamatele fiches: vi risponderanno fish and chips. Dopo mesi a ripetere le tabelline, principalmente quella del diciassette (sì, c’è la tabellina del diciassette, so già che molti di noi si sentivano fighi perché sapevano il risultato di sette per nove), e dopo mesi a perfezionare lo spin, che sta per lancio della pallina nella ruota (non pensate che si possa lanciare casualmente, tutto è una scienza esatta), con il tempo e dei bravi maestri si acquisiscono le basi, lavorando e lavorando si raggiungono perfezione ed eleganza. È un mondo affascinante, pieno di regole ma che può regalare tante soddisfazioni e permette di fare carriera.

È alla fine dei tre mesi di corso che arriva l’interview via skype con un manager di un famoso casinò. A proposito, se andate in Inghilterra pronunciatelo senza l’accento; con l’accento indicherete esattamente quello che intendiamo noi senza accento.

Arriva l’esito positivo al colloquio e arrivano i dieci giorni per organizzare una nuova vita. Ed ecco che con un volo low cost, trenta chili a disposizione e una nuova vita davanti inizia la mia avventura a Birmingham – United Kingdom.

Si sa, trenta chili sono nulla per affrontare una nuova vita, il freddo polare e un paese dove non esiste il caffè espresso. Così, spazio alle priorità: caffettiera e scorta di Lavazza, qualche maglione pesante, due o tre libri e, filtrando filtrando, si arriva all’essenziale. Per il resto, c’è Primark.

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Primark è la svolta per chi si trasferisce in Gran Bretagna, ma anche per chi ci vive regolarmente: compri tutto a poco prezzo, dai vestiti alla roba per la casa. È li che dopo due giorni ci rechiamo per arredare una casa. Piumone cuscini, lenzuola, tutti per letto double, da non confondere con letto king; quindi, se mai affitterete una casa nel Regno Unito, verificate che vi venga fornita con letto single, double o king e poi regolatevi con l’acquisto delle lenzuola. C’era la neve a Birmingham quando siamo arrivati, giusto per rendere più agevole il trasporto dei trenta kg provenienti dall’Italia, più gli ulteriori dieci acquistati in Inghilterra. La piccola comunità di italiani mandati a incrementare il personale del casinò arriva con la neve. Il risparmio prima di tutto, quindi camerata da otto con un solo bagno, per fortuna in camera. Passiamo tre giorni a condividere tutto, a calpestarci le valigie, a sgomitare per trovare un calzino e a dividere gli spazi in maniera millimetrica pur di respirare. Quindi, sarà che gli spazi erano stretti e la necessità di cercare i calzini senza incappare in un accappatoio altrui era impellente, dopo esattamente 48 ore eravamo equamente distribuiti in due case con tutto l’equipaggiamento targato Primark. Passano solo 24 ore e il tetto comincia a gocciolare ma, si sa, le case sono di legno e se fai la doccia al piano di sopra ogni goccia deve rimanere dentro la vasca. La calma inglese si manifesta sottoforma di uomo dell’agenzia immobiliare che dopo aver visto il tetto gocciolante sentenzia: ”mmmm ohhh”, che in Italia, o meglio in Sicilia, l’equivalente sarebbe qualcosa che finisce in “ione”.

Ma sono efficienti e tutto si risolve, la casa regge ancora e il piumone riscalda anche troppo. Quindi se comprate un piumone livello quattro ricordatevi di comprare un pigiama estivo, perché il riscaldamento funziona di continuo.

Uno dei pochi disagi del vivere in Inghilterra è la presenza dei due rubinetti nel bagno. Passi la guida a sinistra, che ti abitui pure al fatto che sembra stia guidando un cane o l’uomo invisibile; passi per l’assenza del bidet; passi per la maionese nell’insalata; ma i due rubinetti nel lavandino sono proprio scomodi. L’ingegno però arriva anche lì e facebook mi fa da maestro, con la bottiglia inserita tra due rubinetti a farne miscelatore. Perché i primi giorni l’idea era: mano destra primo rubinetto, mano sinistra secondo e hop hop, uno due uno due, fino a raggiungere una sorta di equilibrio fondamentalmente inesistente, allenamento pesante ogni mattina.

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Ma che dire: adoro gli inglesi con il loro pallore con le loro cuffie giganti, il loro cibo mangiato camminando a qualsiasi ora (e poi non dite che noi siciliani stiamo sempre a mangiare); adoro le wi-fii libere, adoro il formaggio cheddar che mettono ovunque, la pasta precotta e il fish and chips; le cucine senza tavoli ma solo con divani e tavolino (o forse le tre case che ho visto io sono l’eccezione e magari buona parte degli inglesi ce l’hanno). Adoro i supermercati immensi dove puoi scegliere qualsiasi cosa, pure il succo di mashmallow, ma senza zucchero aggiunto, e il 90% della roba non la devi cucinare perché è già pronta; adoro la loro compostezza, la loro gentilezza, il loro sorry perenne solo perché c’era la possibilità che ti urtassero. Adoro la loro efficienza: per aprire un conto in banca si impiegano solo 12 minuti. Adoro il loro uscire in pantaloncini perché c’è un filo di sole mentre noi abbiamo la tenuta da gita a Piano Battaglia per scivolare con i sacchetti dei rifiuti. Insomma, favolosamente UK. Favolosamente Birmingham: una città grande sui canali, piena di gente, piena di negozi e se pensate qualcosa di strano, be’, lo troverete in vendita. Il paese dei balocchi che mi ha accolto, che mi ha dato un lavoro e mi ha fatto rinascere. L’Italia e la Sicilia saranno sempre nel cuore con tutte le meraviglie e le meravigliose abitudini ma purtroppo non mi hanno dato opportunità, non mi hanno offerto un futuro. È qui il mio futuro adesso. Uno dei primi giorni al casinò un collega croupier tunisino mi ha detto: “Un tempo venivamo noi a cercare fortuna in Italia. Adesso voi italiani venite in Inghilterra”. Frase quanto mai significativa.

E così adesso la mia vita è qui. Ogni giorno vedo la gente che scambia soldi, gioca, vince, perde. In un solo minuto vedo puntato su di un piccolo quadrato l’equivalente del mio stipendio e spesso anche il doppio o il triplo, lo vedo scivolare via con una puntata non vincente, guai a dire perdente. Vedo la speranza negli occhi del giocatore, lo vedo ansioso seguire la pallina, lo vedo gioire, lo vedo disperato svuotarsi le tasche o riempirle. Gli regalo un sorriso e quando lancio la palline e dico “place your bets”, posizionate le vostre scommesse, penso che io la mia scommessa l’ho già vinta. Il rumore della pallina accompagna i miei pensieri. Gira veloce, poi si ferma. Qualcuno ha vinto. Calcoli, statistiche per alcuni, ma in realtà semplice casualità, la ruota gira. Fate le vostre scommesse ancora una volta che io la mia l’ho già vinta. Ed una volta a casa, quando il turno è finito, c’è sempre un bel piatto di pasta a ricordarci che siamo figli di mamma Italia, adottati dalla Zia Inghilterra.

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Donatella Piazza ha fatto una scommessa e l’ha vinta. La sua storia, come tante altre, è il perfetto esempio di come la sconfitta di un’intera terra si possa trasformare in un successo personale. Volando da un’isola all’altra, dalla Sicilia all’Inghilterra, ha cercato e trovato l’opportunità di una nuova vita (lavorativa). Questa è la prima puntata del suo diario.


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