Eppure, stavolta è una dedica a essere protagonista. Lettore è seduto, altissimo, si capisce da come e quanto è incrociata la gamba sinistra sulla destra: l’espressione decisiva di chi non è abituato al lusso di due sedili tutti per sé. Ha un cappotto di dubbia modernità, un paio di mani (bellissime) (che sanno di talco e “di mattina presto” secondo me) e una busta di plastica. Dentro c’è un miniciclamino violetto che non ne vuol sapere di stare la dentro. Se sorride, Lettore, ci sentiamo subito meglio in più di uno. Solo interrogandoci da dove arrivi, con quella faccia un po’ così e quell’ espressione un po’ così. Sta leggendo, ma puntualmente torna alla prima pagina, dove c’è un indiziato speciale, Vostro Onore. Inizia con “Etty trova…”. Chissà cosa (r)accorda quella dedica, alla quale Lettore ritorna con ritmo regolare e disciplinato, come se aggiungesse ricordi e pezzetti da significare; come se quella scritta a penna se ne uscisse bel bella dal testo, gli si mettesse sulla spalla sinistra tipo condor a dire: “Eh, lo so. Te l’avevo detto”; tipo una Bocca della Verità, meno antipatica. Fianco a fianco davanti alle porte, mi fa bi-passare per prima: a Pontelungo e anche all’uscita effettiva delle metropolitana, verso la moderna civiltà dell’Alberone-quando-c’era-ancora. Rimanendo sospeso su un piede, sollevando appena il braccio, guardando da un’altra parte, come a non sottolineare la gentil-accortezza. In punta di piedi, aspetta di farmi passare. Eppure non c’è, l’ imbarazzo di derivazione cavalleresca che ha fatto arrossire generazioni e scalpitare altre. Torna a guardare verso di me solo quando colgo al volo la cortesia, e il mio, di condor, può finalmente dirgli “Grazie”.
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