Magazine Cinema
Durata: 127'
La trama (con parole mie): i drammatici eventi che caratterizzarono il G8 di Genova nel 2001 sono appena trascorsi, e le immagini della morte di Carlo Giuliani rimbalzano in tutti i notiziari nazionali ed internazionali. Il deflusso dei partecipanti alle manifestazioni di quei giorni, però, è appena agli inizi, e gli scontri per le strade fanno da sfondo allo sfilare di giovani ed anziani che pacificamente, nel corso della settimana, hanno invaso la città coordinati dal Genova Social Forum.
La scuola Diaz, divenuta un dormitorio per i giornalisti ed i tanti ragazzi stranieri accorsi per dichiarare i propri ideali politici di fronte ai "grandi" del mondo, a seguito di un assalto sospetto ai danni di una vettura della Polizia, diviene oggetto di quella che dovrebbe essere una semplice perquisizione in cerca di esponenti dei Black block e che si tramuta in un vero e proprio massacro documentato da immagini da brividi che, in breve, fanno il giro del mondo.
Una delle pagine più tristi della Storia recente del nostro Paese.
E' difficile, davvero difficile mettersi alla tastiera e recensire questo film.
Perchè è come se l'anima si spaccasse in due.
Da un lato resta l'approccio critico, quello che vorrebbe parlare della pellicola di Vicari principalmente dal punto di vista della settima arte, affrontandone i pregi e i difetti - e ce ne sarebbero, nonostante l'interessante struttura sul modello dei cult Pulp fiction ed Amores perros, e l'equilibrio nel mostrare luci ed ombre da entrambe le parti della barricata -, ma sinceramente credo importi poco.
Quello che conta, rispetto a Diaz, è che il lavoro del regista assume le connotazioni di testimonianza di uno dei fatti di cronaca più drammatici cui il nostro Paese abbia assistito negli ultimi trent'anni, un resoconto ispirato ai fatti accaduti all'interno della Diaz e a Bolzaneto che ha riportato alla mente del sottoscritto le immagini del corto che Ken Loach firmò per la raccolta dedicata all'undici settembre e dedicò alle vittime di un altro undici settembre, quello che vide, in Cile, la deposizione di Salvador Allende e l'insediamento di Pinochet, o quelle di Garage Olimpo, terrificante sguardo sull'Argentina dei desaparecidos firmato da Marco Bechis.
La parte centrale della pellicola, nella quale si concentrano gli episodi di violenza feroce che gli agenti scaricarono sui manifestanti accampati nella scuola e che funge da centro di gravità per le storie che la sceneggiatura incrocia - il giornalista Luca Gualtieri, l'agente Max Flamini, la giovane Alma tra le altre - è di una potenza dirompente, tanto da risultare faticosa da portare a termine senza che la rabbia o le lacrime vengano a chiedere un conto troppo pesante anche a distanza di così tanti anni, quasi come se tutti noi ci fossimo trovati tra quelle mura.
E da un certo punto di vista, è proprio così che è andata: gli abusi di potere, la violenza ed il suo esercizio, il sadismo e la soddisfazione nel vedere soffrire persone innocenti affondano le proprie radici nel peggio della natura umana, quella che ha lasciato le cicatrici più profonde nella costruzione di una civiltà che pretende soltanto di essere civile, e trova sfogo in episodi come questo, gravi quanto gli attentati terroristici che vorrebbero prevenire o i casi di individui presi singolarmente e al di fuori della Legge.
Ad ogni colpo di manganello, ad ogni sussulto, ad ogni mano alzata e preghiera, ad ogni umiliazione cui gli arrestati stranieri vennero sottoposti, la mente è tornata ad una delle letture più incredibili della mia vita, Uomini comuni di Christopher Browning, che analizza lucidamente il fenomeno che vide un'intera nazione ed i suoi soldati cedere al fascino del Male: parlo della Germania della Seconda Guerra Mondiale, delle squadre speciali che si occuparono del rastrellamento dei villaggi, dell'alcool che veniva costantemente rifornito ai loro componenti, del sistema di controllo "ombra" dato dal fatto di non poter fare altro che eseguire per non rischiare di essere vittime a propria volta.
Homo homini lupus, si diceva qualche tempo fa.
E accanto, il lavoro di Lucarelli e Picozzi che sto leggendo in questi giorni, Serial killer, un'analisi della fenomenologia dell'omicidio ed una galleria dei più famosi tra i mass murderers: tra quelle pagine si fa riferimento anche a tutti i potenziali serial killers celati dietro una divisa o un incarico che possa permettere loro di sfogare un'indole sadica e perversa nel "pieno diritto" della loro "professione".
Parliamo di esponenti della criminalità, di sicari a pagamento, di membri delle forze dell'ordine o soldati.
Il male dell'Uomo che non è più contenuto dalla ragione o dalla civiltà che certi burattini a capo delle nazioni più industrializzate del mondo - Bush, Berlusconi, Putin, ma ce ne sono di molti altri, anche peggiori - rappresentano al meglio, lo sporco buttato in fretta e furia sotto il tappeto, il sangue che non può - e non deve - essere lavato.
Perchè quello è il sangue che (quasi) tutti noi versiamo ogni giorno, per vivere dignitosamente e proteggere chi amiamo - da brividi il passaggio della coppia che cerca rifugio all'ultimo piano della scuola -, o cercare di farlo, affinchè le idee, la libertà e chi ci è vicino non finisca divorato dall'anima nera che ci portiamo dentro, e che da millenni continua a farsi largo attraverso il potere, la violenza, la voglia di opprimere più che di emergere, di distruggere più che costruire, di trasformare tutto ciò che dovrebbe essere umano in qualcosa di sacrificabile su un altare che pare oltre ogni decenza.
E non si tratta di un film horror, o di una presa di posizione politica.
E' qualcosa di più. Qualcosa di spaventoso e terribile.
L'abisso di Nietzsche che, più che restituire lo sguardo, cerca di ipnotizzarci per poi lasciarci a terra, a soffocare nel nostro sangue.
Il Male in senso assoluto farà sempre parte della nostra Natura, questo è innegabile.
In fondo, l'Uomo è l'animale più crudele che esista al mondo.
Ma è un dovere, e quasi un bisogno, che si lotti fino in fondo perchè quello stesso Male non torni più a galla legittimato dal potere, o dal piacere del suo esercizio.
Mai più.
MrFord
"Genova non sa ancora niente, lenta agonizza, fuoco e rumore,
ma come quella vita giovane spenta, Genova muore.
Per quanti giorni l'odio colpirà ancora a mani piene.
Genova risponde al porto con l'urlo alto delle sirene.
Poi tutto ricomincia come ogni giorno e chi ha la ragione,
dico nobili uomini, danno implacabile giustificazione,
come ci fosse un modo, uno soltanto, per riportare
una vita troncata, tutta una vita da immaginare.
Genova non ha scordato perché è difficile dimenticare,
c'è traffico, mare e accento danzante e vicoli da camminare.
La Lanterna impassibile guarda da secoli gli scogli e l'onda.
Ritorna come sempre, quasi normale, piazza Alimonda"
Francesco Guccini - "Piazza Alimonda" -
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