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Premiato alla 62^ Edizione del Festival di Berlino nella sezione “Panorama” con il secondo premio del pubblico, “Diaz” si presenta immediatamente come una pellicola innanzitutto necessaria, importantissima a livello internazionale per informare coloro che non sanno, o sanno troppo poco, e fondamentale per coloro che sanno e esigono una documentazione che tutto il mondo possa vedere e comprendere (vivere).
Perché è doveroso farlo presente, “Diaz” non è affatto un film dalla facile fruizione. Non esiste censura davanti alle sue immagini dure e cruenti ma solo lo sguardo fisso e incredulo della camera ferma di fronte alla diffusione di tanta violenza mista a mancanza di umanità. E’ complicato per qualsiasi tipo di spettatore rimanere seduto e inerme sulla poltrona quando l’ennesima manganellata colpisce gratuitamente il corpo dell'ennesima vittima piegata e indifesa, trasformando i colpi in brividi di sofferenza percepiti da chi guarda in maniera infastidita e sdegnata. Vicari riesce a dare al suo lavoro quello che era mancato in parte ad “A.C.A.B.” in termini di violenza e soprattutto a “Romanzo di Una Strage” in termini di narrazione. “Diaz” racconta fatti realmente accaduti ma sfruttando al massimo il mezzo-cinema a sua disposizione facendo uscire con brutale veemenza fuori dallo schermo, e senza troppi sforzi, la completa crudeltà causata dalle stoccate di quei manganelli.
Sebbene recitato in maniera impeccabile da un ottimo cast corale, misto di attori italiani e stranieri, va sottolineato quanto Vicari abbia elegantemente preferito concentrare la sua intera attenzione sulla vicenda da raccontare e sui personaggi, sacrificando in questo modo le interpretazioni dei due attori di richiamo che aveva a disposizione: un comunque ottimo Claudio Santamaria e un leggermente schermato Elio Germano. Se infatti Germano ha forse poche possibilità per mettersi sufficientemente in rilievo, Santamaria mette in scena il suo celerino in maniera abbastanza compiuta, calibrando efficacemente dei stati piuttosto aggressivi a dei stati appena più sensibili.
Poter guardare a “Diaz” come a un film italiano è un orgoglio enorme, per quello che rappresenta e per come lo rappresenta. Una pellicola devastante, durissima, la cui visione però non solo è consigliata ma obbligatoria a tal punto da rendere superfluo e immorale qualsiasi minimo intervento espletato ai fini critici. Cinema utilizzato come alto mezzo di informazione, per ricordare al mondo intero che non sempre il sangue può esser lavato via ("Don't Clean Up This Blood").
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