recensione di Fabrizio Luperto
I fatti: Nella notte tra il 21 e il 22 luglio 2001, in occasione del G8 di Genova, dopo una giornata di scontri che lasciano sull'asfalto Carlo Giuliani, la polizia assalta la scuola "Diaz" all'interno della quale diversi manifestanti hanno cercato rifugio per la notte. Quello che accadde all'interno dell'edificio fu definita “Macelleria messicana” da Michelangelo Fournier, uno dei poliziotti che parteciparono all'assalto, quando depose come imputato al processo. Alla fine di quella notte tra gli occupanti della scuola si contarono 93 arrestati e 87 feriti. Dalle dichiarazioni rese dai 93 detenuti (molti dei quali oggetto di ulteriori violenze nella caserma-lager di Bolzaneto) nacque il processo in seguito al quale, degli oltre 300 poliziotti che parteciparono all'azione, 29 vennero processati e, nella sentenza d'appello, 27 sono stati condannati per lesioni, falso in atto pubblico e calunnia, reati in gran parte prescritti. Mentre per quanto accaduto a Bolzaneto si sono avute 44 condanne per abuso di ufficio, abuso di autorità contro detenuti e violenza privata.
Il Film: Luca (Elio Germano) è un giornalista di un quotidiano di centrodestra che il 20 luglio 2001 decide di andare a vedere di persona cosa sta accadendo a Genova durante il G8. Alma (Jennifer Ulrich) è un'anarchica tedesca che ha partecipato agli scontri e ora, insieme a Marco un organizzatore del Social Forum è alla ricerca dei dispersi. Anselmo (Renato Scarpa) è un anziano militante della CGIL che ha preso parte al corteo pacifico contro il G8. Nick ( Fabrizio Rongione) è un manager francese giunto a Genova per seguire il seminario dell'economista Susan George. Max (Claudio Santamaria) è vicequestore aggiunto. Tutti si troveranno all'interno della scuola Diaz quando la polizia darà luogo alla mattanza. In questa stagione il cinema italiano ha deciso di confrontarsi con le ingiustizie che hanno segnato la storia recente del nostro Paese. E se Marco Tullio Giordana con Romanzo di una strage indaga sui complotti di autorevoli esponenti dello Stato, Daniele Vicari (Velocità massima 2002 - Il passato è una terra straniera 2008) affronta quella che è stata definita da Amnesty International come "la più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale". Mettiamo subito in chiaro una cosa fondamentale: il film non si chiama "storia del G8 di Genova" nè tantomeno "tutte le sfaccettature politiche del G8" ecc.., il film si chiama Diaz e racconta esclusivamente quanto accaduto quella triste notte. Questo per evitare le sempre presenti (inutili) polemiche a sfondo ideologico e politico e anche perché quando un film si occupa di storia, incombe il rischio di dover fornire risposte, Vicari invece, si limita a mostrarci il "cosa e come" è accaduto, senza inventarsi nulla, è tutto vero e tutto è basato sugli atti giudiziari. Alla Diaz e a Bolzaneto ci fu un comportamento criminale la cui principale vittima è stata la democrazia ed è grazie a chi ha raccontato, fotografato, indagato, che il nostro Paese può distinguersi dal Cile di Pinochet e l'Argentina di Videla. Il regista reatino ricostruisce con agghiacciante realismo il furibondo massacro di coloro che erano presenti all'interno della scuola, le violenze e le umiliazioni inflitte con sadica ferocia. Il film, nel suo complesso, è ben girato, con momenti di eccellenza come le riprese notturne dall'alto, con la colonna dei mezzi della polizia che crea un effetto cromatico davvero notevole (l'avesse girata M. Mannsarebbe stato osannato).
L'atmosfera di tensione all'interno della questura è realisticamente ricostruita, con dirigenti altezzosi che imbeccano giornalisti compiacenti prima e confusi, indecisi dopo, quando cercano di mascherare e minimizzare quanto accaduto. Ottima l'intuizione di Vicari di far indossare ad una funzionaria di Polizia lo stesso vestito della vera polizotta immortalata all'epoca in diverse foto (si tratta della poliziotta che durante gli scontri indossava un vestito D&G e lunghissime unghie finte). Per gli amanti dell'altra faccia del cinema si possono segnalare le sequenze con la descrizione delle sevizie e delle umiliazioni perpetrate dagli agenti di Polizia Penitenziaria, che ricordano vagamente le atmosfere dell'exploitation seventies europeo e questo la dice lunga su quanto è riportato negli atti del processo. Come sempre, la buona riuscita di un film è dovuta anche alle seconde linee (anche se in Diaz non c'è un vero e proprio protagonista) e consumati professionisti come Mattia Sbragia e Renato Scarpa assicurano talento e solidità. Nessuno potrà lamentarsi se un cittadino dopo aver visto il film, dirà di non fidarsi delle istituzioni, di non credere nella democrazia. Il cinema italiano ha infranto un antico tabù e dopo A.C.A.B. – All Cops are Bastards di Stefano Sollima, ecco Diaz dove i cattivi sono quelli con la divisa blu e tonfa in mano. I nomi dei personaggi non sono quelli reali (il rischio di denunce e querele con conseguente sequestro della pellicola era altissimo), ma sono facilmente riconoscibili. Nessun distributore ha accettato di affiancare la Fandango per l’uscita in sala. Evidentemente il cinema italiano riesce ancora ad essere scomodo. Crudo, a tratti insostenibile, necessario.
di Fabrizio Luperto
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