Introduzione
-La disciplina estetica nasce in ambito filosofico nella grecia classica; si occupa dello studio del bello, ovvero cerca di capire cosa sia, e se sia oggettivo o soggettivo. L'estetica si applica all'arte e quindi al cinema
-Alcuni nodi basilari di discussione teorico dei film: specificità del mezzo (cosa rende il cinema tale?); questione essenzialista (cosa il cinema è in grado di fare che lo differenzia dalle altre arti?); studio dei generi (sono oggettivi o soggettivi?); questione del realismo e della finzione (c'è più realtà o finzione nel cinema? Il cinema deve tendere al realismo o no?).
visione occidentalofila
-Film e teorie dei film nascono in Europa in epoca coloniale o post-coloniale: da qui una teoria occidentalofila che ha sempre penalizzato il terzo mondo, nonostante in esso si produca più della metà di tutti i film ogni anno.
primi dibattiti nel periodo muto
-La riflessione sul film come mezzo nasce già con la denominazione del mezzo stesso, indicanti i diversi modi di prevedere il suo futuro utilizzo: “biografo” enfatizza la registrazione della vita stessa (anticipando le teorie realiste) “bioscopio” enfatizza l'osservazione, anticipando i concetti di scopofilia e voyerismo della psicanalisi degli anni '70; il “fusil cinématografique” evoca il processo di “shooting”, enfatizzando il potenziale aggressivo dell'immagine filmica (come sosterranno i sovietici).
-Le prime riflessioni critiche sui film (spesso recensioni di giornalisti riguardo uno spettacolo pubblico cui hanno assistito) oscillano fra un senso di estasi e venerazione e un dileggio del film (visto come un'arte monca e grossolana) e dei suoi spettatori (imbambolati da uno spettacolo idiota). Spesso si tratta di recensioni impressioniste prive di una sistematicità analitica.
-L'iniziale critica/teoria si occupa di raffrontare il cinema alle altre arti: Ricciotto Canudo nel 1911 lo considera una sintesi perfetta delle arti spaziali (pittura/scultura/architettura) e temporali (poesia/musica/danza)
-Il primo studio sistematico è quello di Munsterberg nel 1916 col libro The Photoplay: A Psychological Study: egli è il primo a riconoscere il ruolo del regista come autore, responsabile di conferire un'ordine dotato di senso al caos delle immagini (bozza del concetto di autorismo); dice inoltre che il cinema si differenzia dalla drammaturgia teatrale grazie ai mezzi specifici del primo piano, degli effetti speciali, del montaggio (bozza del concetto essenzialista e di specificità del mezzo). Inoltre esalta il ruolo di spettatore “attivo”, che per mezzo dell'intelletto dà senso al film, stando al suo gioco (bozza dei successivi studi psicanalitici sul pubblico).
-altri studiosi insistono invece sul concetto di cinema come linguaggio universale, ad esempio per Lindsay il cinema rappresenta un linguaggio con una propria grammatica, una forma di esperanto che qualunque tipo di pubblico è in grado di capire. Anche lui è fra i primi a sostenere il ruolo del regista come autore, prevedendo che in futuro si sarebbero distinti i vari maestri del photoplay come allora si distinguevano i vari scrittori.
problema essenzialista
-Uno dei primi nodi di discussione è quello ontologico: il cinema è un'arte autonoma dalle altre o deve ispirarsi ad esse? In questo periodo la Francia è la sede principale del dibattito.
-Epstein teorizza un cinema puro, focalizzato sulla potenza delle immagini, che la narrativa non può eguagliare con la scrittura. Fa l'esempio del primo piano, che considera l'anima del cinema, molto più espressivo di qualsivoglia forma di scrittura; per tal motivo appoggia anche la manipolazione dell'immagine, ad esempio l'enfasi data dal ralenti.
-similarmente, Delluc sostiene che il cinema sia l'unica vera arte moderna perchè fa ricorso alla tecnologia più all'avanguardia per dipingere la vita reale; per Dulac il movimento e il ritmo formano “l'essenza unica e intima dell'espressione cinematografica, e sostiene che coloro che fanno prevalere la narrativa all'immagine commettono un “errore criminale”. E' anche uno dei primi teorici ad osteggiare apertamente la ricerca del verismo, agognando un cinema liberato dalla responsabilità di raccontare storie o riprodurre la vita vera. Così anche il regista sperimentalista Fernand Leger lamentava che la maggior parte dei film sprechi la propria energia nel tentativo di costruire mondi riconoscibili, negando il potere spettacolare del frammento.
-al contrario, autori/registi come lo stesso Griffith sostengono apertamente di rifarsi ai canoni narrativi del romanzo ottocentesco per la strutturazione del racconto filmico, in particolare la tecnica dickensiana di narrativa incrociata. Ejenstejn dichiarava simili legami, ad esempio di aver tratto ispirazione il cambio delle lunghezze focali da Il Paradiso Perduto, o il montaggio alternato dal capitolo sulla fiera agricola di Madame Bovary.
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